venerdì 18 marzo 2011

I due centauri


Una estate, agli inizi degli anni ’70, due amici europei erano partiti con le loro moto alla volta degli Stati Uniti d’America.

Entrambi “spiriti” liberi, ricercatori e attenti osservatori, i due giovani avevano desiderato attraversare quell’immenso continente per vedere cos’era rimasto di quel fermento giovanile di rinnovazione che, alcuni anni prima, aveva investito con forza l’America e anche l’Europa.

Così, avendo ancora nelle menti l’eco delle voci dei protagonisti dei grandi concerti di Woodstock e Central Park: Bob Dylan, Janis Joplin, Simon e Garfunkel e tanti altri esponenti (anche scrittori, come Kerouac e Ginsberg) della beat generation, i due centauri avevano viaggiato in lungo e in largo coi capelli al vento, il calore del sole sulla pelle, i jeans e gli immancabili Ray Ban a protezione degli occhi.

Avendo molto tempo a disposizione i due non s’erano fatta mancare nessuna tappa importante: da New York erano saliti su a Boston, per poi ridiscendere verso Philadelfia, Baltimora, Washington. Ma ciò che videro non corrispondeva a quegli “alti” ideali che aveva caratterizzato il ’68.

Poi, dirigendosi verso la West Coast, i due amici attraversarono Pittsburg, Cleveland, Detroit…e prima di giungere a Chicago scorazzarono un po’ lungo il grande lago Michigan.

E poi via, come due antichi cavalieri erranti, attraverso l’Illinois e il Missouri, per giungere nei grandi deserti del Kansas e del Colorado, dove finalmente videro le Grandi Montagne rocciose.

Attraversando il fiume Colorado giunsero in Nevada, dove visitarono una Riserva Indiana, e si commossero nel constatare la decadenza dei sopravvissuti di un popolo un tempo libero e fiero.

I due arrivarono in California pieni di polvere e con la pelle arsa dal sole estivo del deserto.

Attraversarono San Francisco e Hollywood. A Los Angeles fecero una puntatina all’UCLA, il famoso Campus universitario dove aveva studiato, tra i tanti altri personaggi famosi, anche Carlos Castaneda.

Facendo più volte sosta sulla costa si fermarono a contemplare il grande Oceano Pacifico, e assistettero agli slalom acrobatici di temerari surfisti che cavalcavano le onde “volando” su creste alte anche più di cinque metri.

Infine, volendo dirigersi in Messico, dopo una sosta al Grand Canyon attraversarono l’Arizona e scesero verso El Paso.

I due giovani giunsero alla frontiera col Messico ch’era mattino presto.

Per più di due mesi avevano parlato poco o niente, solo gesti, sorrisi, vento sulla pelle, il rombo dei motori e qualche urlo di gioia stimolato dal fascino di un immenso territorio, un cielo sconfinato e tanta, tanta bellezza.

Ma soprattutto silenzio, tanto silenzio, e muta e grata presenza.

Forse fu per questo che uno dei due amici ebbe uno shock emozionale quando il poliziotto americano (che aveva ritirato i loro documenti), tornando dall’ufficio dove aveva fatto i controlli gli chiese sorridente: - Are you Simo…ne? – facendo una lunga pausa tra Simo e ne.

Per un breve, interminabile istante, Simone rivisse mentalmente una pratica fatta alcuni anni prima. Il giovane rivide centinaia di praticanti seduti e il Maestro che camminando lievemente tra loro spiegava come eseguire la tecnica.

- Quella di respirare consapevolmente ripetendo il proprio nome di battesimo – diceva il Maestro - è un pratica cristiana molto antica, Essa serve a riportare a galla, per divenirne consapevoli e poi liberarsene, quella che è la prima identificazione della nostra vita: l’identificazione col nome che ci è stato dato e che ascoltiamo regolarmente sin da quando abbiamo aperto gli occhi su questa Terra. -

- Ripetete il vostro nome sia inspirando che espirando – diceva la Guida - Inspirando: pronunciate mentalmente il vostro nome riportandolo a galla; espirando, invece, pronunciatelo liberandovi dalla sua identificazione. Ma fate attenzione: il nome che dovete ripetere è proprio quello che usavano i vostri genitori…quel nome, a volte, è un soprannome o un nomignolo…usate quello. -

Simone in famiglia veniva chiamato Simo…

Grazie a quella tecnica (e tante altre) Simone e il suo amico si erano liberati da molte identificazioni, soprattutto da quella col nome di battesimo, accedendo così a uno “spazio interiore” più libero dall’io sono questo o io sono quello. Uno spazio dove regna solo l’Io sono.

Simone era ancora assorto in quel ricordo quando il poliziotto ripeté impaziente: - Hey boy: hare you Simo?…-

Simone, guardò prima sorridente l’amico (che parve aver colto cosa gli passava per la mente), poi, con un sorriso quasi ironico, dopo un lungo espiro disse rivolgendosi all’agente: - Yes…I am! -

martedì 15 marzo 2011

Il libro del mese: "Quel che resta del giorno"



Dal retro di copertina:
...la prima settimana di libertà dell'irreprensibile maggiordomo inglese Stevens diventa occasione per ripensare la propria vita spesa al servizio di un gentiluomo moralmente discutibile. Stevens ha attraversato l'esistenza spinto da un unico ideale: quello di rispettare una certa tradizione e di difenderla a dispetto degli altri e del tempo.
Ma il viaggio in automobile verso la Cornovaglia lo costringe ben presto a rivedere il suo passato, così tra dubbi e ricordi dolorosi egli si accorge di aver vissuto come un soldato nell'adempimento di un dovere astratto senza mai riuscire ad essere se stesso.
Si può cambiare improvvisamente vita e ricominciare daccapo?

Una pagina del libro:
"Le luci del molo si sono accese, e alle mie spalle una piccola folla ha appena lanciato un sonoro evviva. C'è ancora molta luce - sul mare, il cielo si è fatto di un rosso sbiadito - ma si direbbe che tutte queste persone che da mezz'ora in qua si stanno radunando sul molo, ora desiderino che cali la notte. Ciò conferma, io credo, in modo molto appropriato l'osservazione fatta dall'uomo che fino a qualche momento fa era seduto qui, su questa panchina, accanto a me, e con il quale ho avuto una curiosa discussione. Egli sosteneva che per un gran numero di persone la sera rappresenta la parte migliore della giornata, la parte che attendevano con maggiore piacere...".

Da questo romanzo di Ishiguro è stato tratto anche un bel film, con la regia di James Ivory e l'interpretazione di Anthony Hopkins ed Emma Thopson.

Quel che resta del giorno, Kazuo Ishiguro, Einaudi tascabili

A queste poche parole mi piacerebbe aggiungere un paragrafo tratto dal Vangelo di Filippo che mi sembra calzi bene col personaggio di questo maggiordomo e, aimé, con molti di noi:
"Girando attorno a una mola un asino fece cento miglia;
quando fu sciolto si trovò ancora allo stesso posto.
Certi uomini camminano molto, ma non arrivano
mai da nessuna parte;
quando per loro giunge la sera non vedono né città,
né villaggio, né creazione, né natura, né forza, né angelo.
Miserabili, hanno sofferto invano".

domenica 6 marzo 2011

La volpe e la bambina



Sembra proprio una fiaba, questo film di Luc Jacquet (La marcia dei pinguini), ma una fiaba con personaggi reali.

I contenuti della fiaba ci sono tutti e possono essere riassunti nel "personaggio" principale (una bambina, che è un peperino, dai capelli rossi e gli occhi verdi irresistibilmente attratta da una volpe), il mondo degli archetipi (qui rappresentato dalla Natura incontaminata, dalla volpe e dai tanti animali misteriosi e meravigliosi abitanti della foresta) e dalla "morale" di chiusura del racconto.

Il film è bellissimo, un vero e proprio tuffo in una natura selvaggia (eppure con un suo "ordine") vista dal punto di vista "non umano", quindi un modo di esperirla che forse pochi di noi hanno potuto sperimentare con le stesse modalità della giovane protagonista.

La bambina, infatti, vi entra in "punta di piedi", con molto rispetto e tanta pazienza. Innamoratasi a prima vista di una volpe la bambina, nei suoi momenti liberi, tenta in ogni modo di stabilire un contatto con lei. Ma le volpi, si sa, sono esseri selvatici molto astuti, diffidenti e furbi per natura. Non sarà quindi facile per la bimba entrare nelle grazie della volpe, e dovrà studiare ogni sorta di espediente per riuscirvi. Però alla fine la vince: lei e la volpe diventano due intime amiche.

Inizia così un periodo straordinario durante il quale la volpe "introduce" la bimba dai capelli rossi nel mondo dela foresta. E noi scopriremo, assieme ai due protagonisti, momenti di vera naturalezza in assenza, come dicevo, della presenza dell'uomo.

Vedremo così come vivono le volpi, ma faremo anche la conoscenza di lupi, leopardi delle nevi, falchi, porcospini, orsi e tanti altri animali, nonché scorci mozzafiato di un mondo naturale bello e pericoloso allo stesso tempo.

Il rapporto di amicizia e reciproco rispetto tra la volpe e la bambina sembra procedere a meraviglia, ma pian piano la bimba, che è un "umano", inconsapevolmente inizia a voler "dominare" il gioco. Comincia così col dare un nome alla volpe, le metterà un collare, cercherà di convincerla a farle da "assistente" nei giochi, fino a portarla a casa sua, nella sua stanza, dove chiuderà la porta.

Vistasi "chiusa in gabbia" la volpe reagirà in malo modo, fino a sfondare una finestra e saltare giù dal primo piano, ferendosi gravemente. L'incidente segnarà la fine di un rapporto "equo" costruito con amore e pazienza.

La volpe non morirà, ma da allora tornerà a prendere le distanze dalla bimba la quale, ormai donna, racconterà, molti anno dopo, di quella meravigliosa e tragica esperiena al figlioletto.

Morale. Tentare di mettere in gabbia esseri dalla natura selvaggia e incontaminata può sortire due effetti negativi: ucciderli oppure allontanarli da sé.