domenica 2 maggio 2010

SECONDA PARTE DEL RACCONTO "LA PROVA DEL DESERTO"



Per chi non l'avesse ancora letto consiglio la lettura della prima parte di questo "racconto nel racconto". E' nel mese di aprile.

Questo racconto è tratto dal mio libro: Il sogno nel bosco.


Buona lettura.


"I primi giorni passarono tranquilli: praticavo, sedevo immobile, osservavo il cielo o i mille piccoli insetti che popolavano quella distesa desolata.

Per affrontare il caldo del giorno e il freddo della notte mi ero costruito un piccolo riparo con i miei indumenti e delle pietre. Tutto sommato la vita solitaria non mi sembrava poi male.

Ma col passare dei giorni e delle notti una inquietudine inspiegabile cominciò a manifestarsi al mio interno. Cominciai a sentire molto distante tutto il mio passato e il peso della solitudine prese a crescere in modo esponenziale. Era ormai da un po’ che non vedevo più anima viva. Non vedevo neanche la persona che mi portava i viveri, perché le scorte le trovavo inspiegabilmente al mattino, al risveglio dalle mie poche ore di sonno.

Perfino prima, quando viaggiavo in cerca del bosco, non ero mai stato solo per un tempo così lungo. Mi capitava spesso di avere dei compagni di viaggio o, comunque, di alloggiare in qualche villaggio o locanda.

Stavo divenendo sempre più consapevole di non essere mai stato neanche un giorno, nella mia vita, senza incontrare un mio simile. In quel momento mi sembrava buffo come nessuno di noi ci faccia caso.

Pensavo: “Nasciamo in questo mondo già circondati dai nostri simili, tanti specchi di noi stessi, e spesso neanche ci accorgiamo della loro presenza.

Non ci accorgiamo, per esempio, di come tutto quello che ci circonda è stato costruito col sudore e la fatica di altri nostri simili. Di quanta conoscenza “viaggi” tra gli esseri umani: architetti, artigiani, agricoltori, stallieri, fabbri, massaie…ognuno di loro fa qualcosa per noi.

Anche se non lo conosceremo mai personalmente qualcuno ha costruito gli abiti che indossiamo, le posate che usiamo per mangiare, il tavolo sul quale desiniamo, la sedia su cui sediamo o il letto sul quale andiamo a riposare quando siamo stanchi morti. Tutti danno un contributo alla civiltà.

Ma non solo. Dove li mettiamo i rapporti umani? Anche solo sentirsi augurare il buon giorno da qualcuno ti fa sentire meno solo. Ricevere uno sguardo di simpatia, un sorriso…per non parlare dell’amore. Quante donne ho amato fin’ora? Quanti doni ho ricevuto dalla vita. Li ho apprezzati fino in fondo? Ho apprezzato i miei genitori, fratelli, compagni?”

Le giornate cominciarono ad essere sempre più cariche di questa consapevolezza e…di solitudine.

A momenti in cui il mio spirito sembrava espandersi all’infinito, dimentico della forma umana, se ne susseguivano altri angoscianti in cui cominciai a dubitare della mia salute mentale e anche, lo ammetto, del mio Maestro. Sapeva veramente quello che stava facendo? Questa mi sembrava una prova senza senso, terribile, inutile…

E’ vero! Ora avevo capito l’importanza degli altri nella nostra vita e pensavo non vi fosse altro da scoprire. Perciò se veramente era un veggente Abadam sarebbe dovuto venire a prendermi.

Invece i giorni e le notti si susseguivano senza che riuscissi a portarne neanche più il conto.

Cominciai a realizzare di essere solo, tremendamente solo... inesorabilmente solo.

Il dolore della solitudine era talmente forte e costante che non ressi più e l’apatia si impossessò di me.

I tempi che passavo sdraiato senza fare nulla, senza neanche pensare, cominciarono a dilatarsi. Finché non arrivai a stare giorni interi steso come un cadavere. Non mangiavo più e diventavo sempre più debole. Senza accorgermene avevo perso la mia identificazione con la forma fisica, ma stavo perdendo anche la lucidità mentale…stavo scivolando nell’oblio di me stesso.

Allora non me ne rendevo conto, solo in seguito ho compreso che mi stavo annullando, dissolvendo nella natura, perché non avevo più nessuno scopo come essere umano, nulla che mi desse stimoli ad agire.

Mi stavo lentamente disgregando.

Non so come avvenne ma un giorno, in un barlume di coscienza, trovai la forza di ribellarmi a quell’abisso che mi stava divorando. Iniziai allora la recita di una preghiera di poche sillabe che il Maestro mi aveva insegnato tempo prima, una preghiera di luce e potere.

Mentre recitavo mentalmente la preghiera non avevo alcuna coscienza del mio corpo ma solo della preghiera, della voce interiore, ininterrotta.

Non so se recitai la preghiera per ore o giorni ma, pian piano, quelle sillabe, quei suoni mentali, cominciarono a vibrare fortemente e ad essere luminosi.


Ora non vi era differenza tra il suono mentale e la luce.


Il suono era luce e la luce suono.


Mentre recitavo vedevo le lettere di fuoco stagliarsi sullo schermo della mia coscienza….e un’energia incredibile prese a crescere in me.

Un fuoco sacro ardeva dentro, fuori, in ogni luogo.

Io ero divenuto la preghiera.


Non vi era differenza tra il suono, le lettere infuocate e la mia identità: tutto era uno…tutto era potere creativo, e quel potere creativo ero io.

Ora le lettere erano vive ed erano Io, e io ero vita allostato puro, essenziale: Io sono Quello, Quello sono io, realizzai.

Fu allora che vidi l’Uomo Divino, o meglio che io ero l’Uomo Divino.

Io, l’Essere di Luce, figlio di Dio, senza forma ma signore di tutte le forme che sono state, che sono e che saranno.
Io, il viaggiatore nel tempo venuto dal non tempo, ero l’erede dell’immenso potere creatore.

In me vedevo tutte le forme generate dal pensiero…eppure sapevo di essere informe.


E realizzai profondamente la forza di quella consapevolezza: la consapevolezza di poter agire e creare con la sola forza del pensiero.

In quella condizione ogni cosa che pensavo diveniva subito realtà, si manifestava come una mia creazione. Potevo manipolare lo spazio e l’energia creando, dai livelli mentali, qualunque cosa o mondo la mia immaginazione fosse in grado di visualizzare.

Capii allora l’immenso pericolo insito in un simile potere quando fosse caduto in mani sbagliate, e del perché sia così difficile raggiungerlo.

Altre esperienze legate a quei momenti che possono essere durati solo istanti (o una eternità, non so) non le racconto, perché cosa segreta ma, quando afferrai di aver capito tutto ciò che vi era da capire per il momento, decisi di interrompere quell’esperienza e subito mi sentii precipitare tra suoni e vortici di luce, galassie orbitanti e infine nella densa materia.

Ora sentivo il respiro.

Non ero ancora cosciente che fosse il mio respiro, ma solo il respiro: l’alito cosmico, l’alito divino, non differente dalla vibrazione che muove tutte le particelle di energia o immense galassie.

L’alito soffiava generando un suono regolare. Calma e potere erano in quel soffio vitale.


*


Dopo non so quanto tempo ripresi coscienza del corpo e, quando aprii gli occhi, vidi indistintamente delle sagome fluttuare nel mio campo visivo. Le sagome si muovevano attorno a me emanando dei suoni indistinti.

Dopo ancora molto tempo i miei occhi cominciarono a mettere a fuoco ciò che mi circondava. Alcune persone anziane dai bei volti sereni si affaccendavano con degli intrugli. Uno di loro mi pose delicatamente una mano dietro la nuca e sollevandomi il capo mi invitò a bere qualcosa.
Sorseggiai la calda bevanda sentendomi subito rinforzato nel corpo, ma ero ancora molto debole e persi di nuovo i sensi.

Mi svegliai che era giorno. Da una piccola apertura in una grezza parete filtravano raggi di luce. Guardai a lungo l’ambiente circostante: si trattava di una piccola stanza con pochi mobili, con degli splendidi affreschi alle pareti. Il tutto era molto semplice ma emanava qualcosa di sacro.

Solo allora mi resi conto di essere sdraiato su un semplice giaciglio, con una coperta addosso. Il ricordo delle esperienze passate era ancora vivo nella mente e sapevo che non era stata una allucinazione onirica: avevo veramente vissuto il viaggio nel mondo degli archetipi. Avevo riconosciuto in me l’Uomo Divino e toccato il Potere della mente Superiore. Sebbene ancora debole nel corpo ero forte più che mai nello spirito.

In quel momento la porta si aprì ed entrarono alcuni eremiti. Abadam era con loro.

- Bentornato fra noi, figliolo - mi disse uno di loro - ti abbiamo vegliato per settimane. - Nel guardare il volto della mia vecchia guida fui preso da un senso di vergogna, e abbassai il capo. – Cosa ti prende ragazzo? Dovresti essere contento, hai superato la prova. – disse un altro eremita.
- Maestro – dissi guardando di sfuggita Abadam – ho dubitato di te.


Tutti i presenti scoppiarono in una sonora risata. – Non saresti stato sano di mente se no l’avessi fatto – mi rispose ridendo il Maestro. – Io al posto tuo avrei fatto lo stesso. Quale uomo sensato manderebbe il suo allievo a morire nel deserto? – Ancora risate.

A quella battuta mi sentii immensamente alleggerire e risi con loro. Evidentemente la mia colpa non era grave.

Abadam mi si avvicinò e baciandomi il capo disse ai presenti: - Cari amici, questo giovane eroe è un mio prezioso amico. Il suo nome è Veromo ed è degno di appartenere al nostro circolo di Iniziati.

Ad uno ad uno i presenti mi si avvicinarono posando la loro mano benedetta sul mio capo, mentre lacrime di gioia sgorgavano copiose dai miei occhi.

Uno di loro, evidentemente esperto in intrugli, mi pose una tazza fumante contenente un liquido dorato. – Bevi ragazzo! – disse – Hai bisogno di riprendere le forze. Siamo stanchi di vederti a letto. – Tutti risero. – Anche perché il giaciglio che occupi è il mio – disse un altro di loro ancora ridendo – e sono stanco di dormire sul pavimento. –

Così tra l’ilarità generale Abadam cominciò a raccontare tante delle sue, e delle nostre avventure, deliziando tutti i presenti con la sua calda retorica.

I giorni che seguirono descrissi per punto e per segno tutto ciò che avevo vissuto nella solitudine del deserto, fino all’esperienza finale. Gli uomini parvero apprezzare immensamente il mio racconto e, alla fine, uno di loro disse solennemente: - Gioiamo fratelli, è nato un altro Uomo. – "


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