giovedì 29 aprile 2010

L'importanza di allenarsi ad essere totalmente presenti in tutto ciò che facciamo


In lunghi anni di osservazione (di me stesso e degli altri) ho notato che noi non siamo mai totalmente "presenti nell'attimo presente".


Per esempio camminiamo per strada immersi nei nostri pensieri, laviamo i piatti pensando a cosa faremo dopo, andiamo ad un appuntamento immaginando cosa succederà dopo, e via dicendo...all'infinito.


Risultato: non facciamo mai nulla bene, né quello che viviamo lascia un "segno" duraturo al nostro interno.


Inoltre questo "non essere presenti nella nostra totalità" ci fa vivere una vita di sogno (non nel senso positivo della parola, ma nel senso che tutto ciò che viviamo diventa sfuggente, onirico, fuori dalla nostra partecipazione attiva).


Una cosa molto utile da sapere, anzi, di vitale importanza è il "perché" avviene questo e il "come" porvi rimedio.


Tutto ciò di cui noi siamo coscienti di noi stessi (la nostra personalità) può essere riassunta in tre gruppi di "funzioni" amministrate da tre centri (o cervelli direttivi): la funzione intellettiva, quella motrice e quella emotiva.


Tutto, ma proprio tutto di ciò che viviamo, facciamo, sentiamo, pensiamo...rientra in queste tre funzioni. Ad esempio, mentre stiamo pensando o elaborando un progetto siamo nella funzione intellettiva, mentre stiamo camminando o lavando i piatti nella funzione motrice e mentre proviamo delle emozioni e sensazioni in quella emozionale.


E arriviamo al "perché" noi non siamo quasi mai presenti nell'attimo presente: perché i tre centri hanno velocità differenti. Il centro intellettivo è il più lento dei tre, quello motore e molto più veloce di quello intellettivo e, infine, quello emotivo è ancora più veloce di quello motore.


Capire l'importanza della velocità dei centri è fondamentale per poter agire di conseguenza e arrivare al "come" divenire padroni della propria vita e dei propri gesti.


Dicevo prima che le esperienze che facciamo non lasciano un segno perché per "lasciare un segno dentro di noi" le esperienze devono essere vissute dai tre centri contemporaneamente. In quel caso si dice che l'esperienza è "oggettiva".


Immaginiamo i tre centri come se fossero tre persone che iniziano a camminare una di fianco all'altra e che queste persone devono fare, ad esempio, cento metri per fare una esperienza "oggettiva". Per far sì che l'esperienza sia oggettiva, cioé reale, le tre persone dovrebbero camminare all'unisono, una a fianco all'altra e arrivare assieme al traguardo dei cento metri.


Ma a cosa assistiamo? Data la differente velocità dei centri (come abbiamo visto) già subito dopo i primi passi uno sarà più avanti rispetto a quello che lo segue, e quello, a sua volta, sarà più avanzato rispetto all'altro.


Alla fine del percorso il primo (il centro emozionale) arriverà per primo e avrà vissuto esperienze di cui gli altri due centri non sanno assolutamente nulla.

Stessa cosa per gli altri due centri.

Risultato: non resterà nulla nella nostra memoria e nella nostra interiorità.


Perché un'esperienza sia oggettiva (e quindi vivere totalmente l'attimo presente) dovremmo allenarci prima ad osservare, cogliere sul fatto le differenti velocità dei centri; in seguito possiamo allenarci a sincronizzarli.


Come? (scusate è un post un po' lungo, questo, ma è il minimo per poter spiegare un tema di così vasta portata; volendo approfondire consiglio un libro esaustivo sull'argomento: Padroni del vostro destino, ed. Adea).


Torniamo ai tre signori che devono percorrere i cento metri all'unisono. Per farli andare di pari passo è bene che due dei tre si "allineino" all'altro. Se ad esempio sto pensando, o ascoltando qualcuno parlare, e voglio farlo con la totalità di me stesso, devo fare in modo che siano coinvolti anche il corpo e le emozioni. C'è un modo di ascoltare o pensare che coinvolge anche il corpo e le emozioni. Cioé una particolare tensione fisica mentre si sta pensando o ascoltando (arte che i giapponesi hanno affinato al massimo grado).

Si dice di Napoleone che camminasse moltissimo mentre pensava, il camminare lo aiutava a pensare.


Stessa cosa (e forse più facile da capire) quando sto camminando. Siccome in questo caso è il centro motore il principale protagonista, gli altri due centri dovrebbero allinearsi a lui, cioé vivere le emozioni fisiche legate al movimento del corpo (e anche le emozioni nel sentire la freschezza dell'aria o delle cose che si vedo durante il percorso) mentre la mente dovrebbe tacere, ed essere completamente assorta nell'osservare il corpo in movimento e la bellezza delle forme che man mano si incrociano (e non disperdersi in mille pensieri, allontanandosi dal presente).


Questi sono solo piccoli esempi per un argomento di vitale importanza per ogni essere umano.


Ma voglio concludere con qualche domanda: alla fin fine chi è che usufruisce (in noi) di un'esperienza oggettiva? Chi è "colui" che decide di fare il lavoro dell'osservazione e della sincronizzazione dei centri? la personalità è un "ponte" verso cosa o chi?

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