mercoledì 18 marzo 2009

RICERCA INTERIORE - IL CORAGGIO DI ABBASSARE LE DIFESE NEI RAPPORTI INTERPERSONALI


Ricordate quando eravate piccoli?

Ma proprio piccoli piccoli, quattro, cinque, sei anni.

E ricordate l'innocenza di quel periodo?


Ci voleva un nonnulla, allora, per fare amicizia con altri bambini.

Ci poteva capitare di incontrare un bambino estraneo dappertutto: ad una festa, un matrimonio, in casa di amici o per strada. E noi, con estrema naturalezza, ci avvicinavamo dicendo: - Io mi chiamo P...e tu? - E dopo le presentazioni: - Vuoi giocare con me? -
Tutto lì, semplice!

Ci si prendeva per mano e si cominciava ad inventare ogni sorta di giochi. E quel bambino/a diventava, in quel momento, il nostro miglior amico.

Da bambini non avevamo paura di essere toccati, di essere criticati, giudicati, minacciati. Eravamo senza difese, innocenti.
Poi è arrivata l'educazione, l'indottrinamento, i "si fa" e i "non si fa". E' cresciuto il senso morale e quello dell'io e dell'altro. Si sono (meccanicamente e inconsapevolmente) formati i nostri gusti personali, la nostra morale e la soggettiva visione di noi stessi e della vita.
Si sono quindi strutturate le prime barriere divisorie tra noi e il mondo. Barriere mentali illusorie (per di più non scelte e non volute, ma subite passivamente) basate sull'apparente divisione tra noi e il mondo, tra noi e gli altri.
Queste "barriere" hanno preso la forma di "scomparti mentali" dove abbiamo inserito (ben catalogate ed etichettate) tute le diversità. Diversità di classe, di quartiere, di paese, di colore, di gusti, di opinione, ideologiche, religiose, politiche...

E vicino ad ogni etichetta vi abbiamo inserito un personale giudizio: - Amico, Nemico, Collega, Neutro, Stare in guardia...e cose di questo genere. - Fino al punto che...
Fino al punto che non riusciamo più a stare a tavola con qualcuno senza la "protezione" di queste barriere. Barriere che rafforziamo trincerandoci dietro un fiume di parole.

Per non stare lì, nudi e indifesi, di fronte al nostro commensale, ci mettiamo a parlare di politica, di calcio, di lavoro, di cronaca. Oppure sfoderiamo la storia della nostra vita (fingendo una apparente apertura verso l'altro). Parliamo dei nostri gusti e di mille altre cose.
Parole, parole, parole...cantava Mina un po' di anni fa.
Tanti bla, bla, bla che non fanno altro che tessere una trama intorno a noi. Un bozzolo in cui ci rifugiamo per non essere visti per quello che siamo, per non comunicare quello che sentiamo realmente in quel momento (magari la voglia di un contatto fisico, o di fuggire lontano).

Così ci chiudiamo in un bozzolo che, all'esterno, ci fa apparire secondo l'immagine che abbiamo saputo costruire con le parole e i gesti. Maschere.

Una immagine "costruita", appunto, per proteggerci e per schermarci da "presunti" attacchi.
I nostri rapporti, da adulti, non sono più rapporti di corpi (né tantomeno di cuori), ma rapporti di cervelli.
O meglio, di "schemi mentali e comportamentali". Incontri di Software.

Contatti superficiali che non lasciano tracce di vere emozioni vissute. Di veri momenti vissuti pienamente. Di un vero e profondo "contatto" con l'altro/a.
Ciò che resta, dopo un siffatto incontro (avendo rinunciato a guardarsi negli occhi e toccarsi nell'intimo) non è altro che un "sapore amaro" in bocca: il sapore di una occasione perduta.


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