giovedì 18 novembre 2010

Yoga - C'è differenza tra Piacere Sensoriale e Piacere Interiore



I più scettici non ci crederanno, soprattutto quelli che non hanno mai provato a praticare seriamente lo Yoga per alcuni mesi ma, veramente, c'è un'enorme differenza tra il piacere dei sensi e quello interiore.


Questa differenza è come quella che passa tra il giorno e la notte, o tra il conoscere il mare solo superficialmente o averne sondato anche le profondità.


Di solito quando c'è il primo è assente l'altro (ma non sempre è così).


Il piacere sensoriale ha sempre bisogno di oggetti esterni per manifestarsi, ma, come possiamo intuire da soli, questo presenta degli inconvenienti: innanzitutto non sempre è disponibile secondo le modalità da noi desiderate; inoltre, anche quando riusciamo a raggiungere l'agognato piacere sensoriale, questo prima o poi ci sfuggirà di mano.


Ad esempio un buon pasto prima o poi finirà; la bella automobile dovremo lasciarala in garage, non possiamo portarcela a letto con noi. Anche una bella donna (o un bell'uomo) non possiamo sempre, a nostro piacere, portarcela a letto, non sarà sempre disponibile.


Anche un buon libro prima o poi finirà.


Passerà un bel tramonto, un momento "magico" vissuto da soli o in compagnia...finirà, in definitiva, qualunque forma di piacere sensoriale che abbiamo avuto la fortuna di vivere.


Credo che chiunque abbia sperimentato quanto sia "doloroso" distaccarsi da qualcosa di piacevole e trovarsi a tu per tu con qualcosa (o qualcuno) che non ci piace.


In definitiva possiamo affermare, senza tema di smentita, che il piacere che si ricerca all'esterno presenta sempre un altro lato della medaglia: il dolore del distacco, dell'assenza dell'oggetto del piacere (non sempre è così, ma questo lo vedremo dopo).


Esiste però un'altra forma di piacere, o meglio: un piacere informe, interiore, diffuso in tutto il nostro essere.


Questo tipo di piacere, piacere che hanno sicuramente esperito i "fortunati" che si sono dedicati a delle pratiche interiori (come lo yoga o la preghiera) non presenta "due facce".


No!


Ne ha una sola.


Ed è sempre lì, disponibile.


Anzi, dirò di più: il piacere interiore è sempre in aumento (aumenta in proporzione a quanto riusciamo ad immergerci profondamente in noi stessi).


Il piacere interiore è una qualità "innata" al nostro essere; questo non và creato, è sempre lì, disponibile per chiunque: belli e brutti, giovani e vecchi...ricchi e poveri.


Perciò non bisogna fare nulla per "crearlo", non si crea dal nulla...c'è, è lì, ce l'abbiamo incorporato, basta far tacere il rumore di fondo della nostra mente e calmare "le acque sempre agitate" delle nostre emozioni turbolenti.


Sono questi gli "ostacoli" che si frappongono fra noi e il piacere innanto (che non ha flussi e riflussi): una mente agitata (cioé un pensiero che ci disturba e ci distrae continuamente) e le conseguenti emozioni, che si colorano continuamente della qualità dei pensieri che ci assillano.


Ecco l'immenso beneficio dello yoga, il grande dono dello yoga: portarci a sentire un piacere costante che non è frutto di nessuna dinamica di causa-effetto.


Riassumendo: esiste un piacere sensoriale (che si manifesta quando siamo esteriorizzati, attraverso i nostri strumenti percettivi o immaginativi), e un piacere interiore che si manifesta ogni qualvolta riusciamo a ritirare i sensi all'interno (più in là, quando si diventa "esperti" a percepirlo, quest'ultimo è sempre presente, anche quando viviamo sensorialmente).


Esteriorizzazione e interiorizzazione.


Tra l'uno e l'altro c'è la nostra consapevolezza, la nostra attenzione.


Quando la nostra attenzione è rivolta all'esterno siamo in balìa delle fluttuazioni sensoriali, superficiali e caotiche; quando invece rivolgiamo l'attenzione all'interno di noi stessi ci immergiamo in un oceano di piacere.


Lo yoga è dunque un processo di reintegrazione nel nostro essere più profondo, essere che, lo ripeto, ha già in sé la qualità del piacere.


Leggendo queste parole, chi si è dedicato solo per poco tempo allo yoga, avrà dei dubbi, perché forse avrà sperimentato momenti di quel piacere interiore di cui parlo, alternato ad altri momenti, momenti di grande agitazione mentale ed emotiva.


La spiegazione è semplice, e la posso dare con una metafora: se ci immergiamo in un mare agitato non possiamo non essere travolti dai flutti. Per sperimentare il piacere delle "acque calme" dobbiamo andare più in profondità, e non basta immergersi solo di pochi metri.


Solo allora, essendoci allontanati dalla superficie agitata, possiamo godere la calma delle profondità marine.


In pratica occorre diventare del bravi "sommozzatori", imparare ad immergersi profondamente, dove le acque sono più calme.


Col tempo, immersione dopo immersione, si impara a distinguere l'enorme differenza che passa tra il piacere di "superficie" e quello delle nostre profondità, delle profondità dell'essere.


Non solo.


Dopo un "certo numero di ore di immersione" si diventa tutt'uno con l'oceano: si comprende, cioé, che le profondità interiori e ciò che sta in superficie sono due aspetti differenti di un'unica vita, di un'unico mare, e noi con lui.


Lo yoga, perciò, è un processo di trasformazione coscienziale che, prendedoci da una condizione di dualità e apparente divisione, ci conduce a divenire consapevoli dell'unità della vita, di interno ed esterno.


A quel punto anche i piacere sensoriali saranno i benvenuti, e la loro assenza non ci disturberà più di tanto, perchè non saremo più identificati esclusivamente con le "onde" di superficie.


Allora, quando saremo soli, non ci sentiremo più soli, perchè ci sentiremo sempre immersi nell'oceano della vita, dell'Essere...che è piacere.

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