domenica 20 dicembre 2009

LA FORTEZZA DEL NULLA (2)






UN INSEGNAMENTO SENZA PAROLE

Per diverse settimane mi impegnai seriamente nella recitazione della Formula di Potere che il vecchio saggio, il mio maestro, mi aveva consigliato. Ma dell’Io Sono neanche l’ombra. Piuttosto mi sembrava di pronunciare parole vuote e senza senso che non intaccavano minimamente il mio carattere e il consueto “modo di fare”, così come non era cambiato il vecchio modo di vedere me stesso e il mondo circostante.

Decisi così di parlarne al maestro. Dopo avermi ascoltato attentamente il vecchio mi disse: - Sapevo che quelle parole non avrebbero sortito alcun effetto. Ma ho voluto fartele sperimentare ugualmente per farti comprendere la differenza tra il dire e il fare. Vedi, tutti i nostri propositi espressi col pensiero o a parole devono essere accompagnati dall’azione, altrimenti restano solo parole versate nel nulla. E tu lo hai visto chiaramente. Vi deve essere un sincero desiderio di cambiamento all’interno che spinge a trovare il coraggio. Il coraggio di cominciare a cambiare esteriormente, anche se a piccoli passi. -

Dopo essere rimasto un po’ pensieroso, come se soppesasse il da farsi, l’uomo ebbe un lampo di luce negli occhi. Si alzò in tutta fretta e andò a scrivere qualcosa su un foglio di carta. Poi con aria sorniona mi si avvicinò porgendomi il biglietto e mi disse: - Quello che leggi è il nome di un villaggio a tre giorni di cammino da qui. Recati in quel posto e, una volta lì, chiedi del pazzo del villaggio. Quando lo avrai trovato digli che ti mando io e…vedi di convincerlo a insegnarti i rudimenti dell’Io Sono. -

- Ad un pazzo? – gli chiesi meravigliato – Ohhh…quello è un pazzo speciale. Abbi fiducia. -

Così il mattino dopo, di buon’ora, mi incamminai diretto alla volta del villaggio indicatomi con una marea di dubbi dentro. – Come può un pazzo, fosse anche speciale, iniziarmi al segreto dell’Io Sono? – pensavo senza trovare una risposta soddisfacente. Come non bastasse fui “benedetto” da un tempo per niente clemente: neve e vento freddo mi accompagnarono per tutto il cammino.

Finalmente, anche se stremato dalla fatica, giunsi nel villaggio che mi era stato indicato. Lo trovai semideserto e coperto di neve, tutti erano rintanati in ambienti caldi e confortevoli. Poi vidi alcuni bambini che giocavano con palle di neve e mi avvicinai per chiedere informazioni.

- Mi potete dire dove posso trovare…mmm…il pazzo del villaggio? – chiesi quasi distrattamente. I piccoli monelli mi guardarono prima con diffidenza, poi cominciarono a bersagliarmi con la neve, finendo il lavoro che tre giorni di marcia avevano cominciato. Alla fine, soddisfatti e ridendo di me mi indicarono un’osteria sull’altro lato della strada e si allontanarono in tutta fretta.

- Cominciamo bene – pensai per niente rassicurato – mi sa che qui sarà dura. -
Mi liberai alla meno peggio della neve che mi ricopriva dalla testa ai piedi e raggiunsi l’osteria. Dopo essere rimasto alcuni istanti a sbirciare attraverso i vetri appannati il rumoroso brulicare di gente che gozzovigliava e cantava all’interno, decisi di entrare. Nel varcare la soglia fui subito assalito da un odore ch’era un misto di pietanze cucinate, fumo del camino e piscio di pecora. Il chiasso era davvero notevole: molti parevano ballare attorno ad una strana coppia. Guardai più attentamente e vidi un uomo coi capelli arruffati, rosso in volto e…senza pantaloni (in pratica aveva il di sotto completamente nudo, come madre natura l’aveva fatto) che ballava e cantava toccando lascivamente la donna (chiaramente una donna di malaffare) mentre gli altri lo incitavano divertiti. L’uomo aveva lo sguardo di un folle e non ebbi dubbi che si trattasse proprio di colui che…colui che avrebbe dovuto iniziarmi all’Io Sono? Nooo! Impossibile!….Fui preso da un senso di nausea e uscii di corsa dal locale con l’intenzione di lasciare subito quel villaggio. Ma appena fuori l’aria fredda mi fece calmare. Pensai al mio maestro e al lungo viaggio che avevo affrontato. Non potevo andarmene senza neanche aver tentato.

Ero ancora indeciso se rientrare o aspettare fuori quando vidi aprirsi la porta dell’osteria e delle braccia che scaraventavano fuori il pazzo. L’uomo cadde a peso morto nella neve, ancora nudo dalla cintola in giù e con i pantaloni in una mano ed una bottiglia nell’altra. Gridava e imprecava contro non so chi e intanto rimaneva sdraiato sul candido manto di neve tirando lunghe sorsate dalla bottiglia.

Mi avvicinai con discrezione, mi inginocchiai e avvicinandomi ad un orecchio gli feci il nome del mio maestro. Lui mi guardò distrattamente dicendomi: - Non conosco nessuno con quel nome. – A quel punto fui preso dal dubbio: “Era lui l’uomo che stavo cercando? E come chiederglielo? Non potevo mica dirgli: - Scusi è lei il pazzo del villaggio? –"

Stavo ancora immerso nei miei pensieri quando mi sentii scuotere. – E cosa vorresti? – Mi chiese l’uomo tirando un’altra sorsata del liquido non ben identificato che aveva nella bottiglia. – Ecco…il vecchio mi ha detto che potreste introdurmi alla conoscenza dell’Io Sono. – Risposi senza molta convinzione. – Mmmm – brofonchiò l’uomo – e che sarà mai questa roba? Io posso solo portarti ad essere diverso da tutti gli altri, sia dai buoni che dai cattivi, e liberarti di tutta quella immondizia che ti porti dentro. La mia è una vita molto strana ragazzo, non vedi?


- Vvv…vedo – dissi – Però a me sembra anarchia. Il vecchio mi ha insegnato che la Regola…- - L’assenza di regole è la mia regola. L’assenza di certezze, di fissazioni, di punti fermi è la mia regola. Allora, che vuoi fare? – disse secco il pazzo. – Ci voglio provare. – risposi timidamente – Allora te ne puoi tornare da dove sei venuto – disse - con me non si “prova”, o fai quello che ti dico oppure non se ne fa niente. – Accetto! – risposi risoluto. – Bene! – disse l’uomo porgendomi la bottiglia. – Tieni, bevi. - - Come devo chiamarti? – gli chiesi dopo una sorsata di quello che scoprii essere un pessimo vino. – E come mi vuoi chiamare? Pazzo…ehi pazzo! – disse l’uomo ridendo di gusto – sì, chiamami: ehi pazzo!…e io farò lo stesso con te. -

Da quella sera iniziò il periodo più strano e più difficile della mia vita. Niente insegnamenti. Niente parole. L’uomo usava dei “metodi” che definire bizzarri è molto al di sotto di quello che erano veramente. All’inizio mi disse solo: - Sappi che sarò spietato con tutte le tue debolezze. D’ora in poi non farai più nulla di normale. In quanto alle spiegazioni, beh, quelle te le puoi scordare. Le chiederai al tuo maestro. Qui si fa e basta -.

Per prima cosa ci legò entrambi in modo da avere solo una gamba ed un braccio liberi. Stavamo legati così tutto il giorno, anche di notte o durante i bisogni intimi. Quando camminavamo lo facevamo…a tre gambe (perché una mia gamba era perfettamente legata alla sua). Stessa cosa quando mangiavamo: io usavo un braccio, lui l’altro. Dovevamo essere diversi in tutto e per tutto dagli altri e mi insegnò anche lo sguardo del pazzo. In breve divenimmo famosi come “i due pazzi”. La gente ci insultava, ci malmenava, ci orinava addosso, ma il pazzo sembrava divertirsi un mondo in quella situazione. Però non era così per me. All’inizio mi parve veramente di impazzire. Non sapevo veramente più chi ero né qual’era lo scopo della mia ricerca. Tutto il mio orgoglio, il mio amor proprio, si ribellava a quello strano “insegnamento”. Ma allo stesso tempo cominciai a sentirmi più leggero. Era come se ogni giorno perdevo parte di quella zavorra che mi portavo dietro sin dall’infanzia, sotto forma di importanza personale, identificazioni o abitudini e associazioni meccaniche.

Finché un giorno cominciai a vedere gli altri come dei pazzi insensati. Mi sembravano inconsapevoli, meccanici, scialbi, ripetitivi, pieni di stupide fissazioni e concezioni morali e sociali. Mi sembravano come dei burattini per niente liberi, ma schiavi di convenzioni che neanche avevano scelto, bensì accettate ciecamente perché così gli erano state trasmesse o, peggio, inculcate sin dalla nascita. Inconsapevoli, ecco come li vedevo, inconsapevoli e per niente liberi di scegliere.

Man mano che passavano le settimane questa nuova visione divenne stabile e cominciai a provare compassione per quelle povere persone senza “io”. E cominciai anche a divertirmi nel mio ruolo di pazzo, di diverso, anzi…di unico. Vidi con grande chiarezza come io e il mio amico eravamo molto più liberi di loro. Non avevamo tabù, né regole morali o sociali. Anzi, potevamo fare qualunque diavoleria ci saltasse in mente senza sentire sensi di colpa o attriti interiori.

Così ne parlai al pazzo. Questi, dopo avermi ascoltato mi disse: - Avevo notato il tuo cambiamento. Vedo che sei pronto per tornare dal tuo maestro. -

Ancora una volta ci ubriacammo assieme, dopodiché mi sciolse e mi abbracciò dicendomi: - E’ stato un piacere lavorare con te. Posso affermare senza timore di smentita che sei un vero Ricercatore. Ti auguro buona fortuna e…salutami il mio vecchio amico. -

L’indomani ripartii portandomi per sempre nel cuore quell’uomo coraggioso e divertente. Durante il viaggio di ritorno notai con piacere gli effetti di quello “strano addestramento”. Ormai mi sentivo libero da ogni forma di ossessione. Non mi rimaneva che conoscere fin nei minimi dettagli il significato profondo di ogni singola parola della Formula, come mi aveva promesso il saggio. Ero sicuro che ora l’avrei apprezzata e ripetuta con forza.
Continua.

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