Ci hanno stretto sempre più nella morsa di un apparato burocratico-legislativo, social-lavorativo e moral-cattolico coercitivo e immobilizzante.
Grazie all'informatica, poi, e ai moderni sistemi di controllo oggi trovare un uomo libero è come cercare un ago in un pagliaio.
Dall'America all'Europa la parola Libertà viene continuamente scandita come uno slogan, mostrata come una bandiera, osannata come una conquista già avvenuta. Di fatto siamo meno liberi che mai.
Per dirla alla Lao-tzu quando si comincia a parlare di certi valori è proprio perché questi sono latitanti. A maggior ragione questo è vero per la libertà. Oggi se non ti conformi ai "ruoli" imposti dalla struttura sociale sei praticamente out.
Col passare dei secoli si è perfezionato sempre più l'apparato sociale che, come una griglia a compartimenti stagni, impone modellli precostituiti. Se non sei politico, medico, scienziato, operaio, artigiano, contadino, avvocato, promotore finanziario, attore, maestro, professore, giornalista e via dicendo non si sa bene cosa sei. Devi per forza incarnare uno di questi modelli precostituiti, appartenere ad una categoria, altrimenti semplicemente non esisti, o peggio sei socialmente inutile o pericoloso.
E il peggior guardiano di quest'apparato burocratico-moralcattolico è proprio l'opinione pubblica. Già, strano a dirsi ma siamo diventati proprio noi i guardiani del nostro vicino di casa, del nostro parente, del nostro concittadino, proprio come ai "bei tempi" dello stalinismo.
Ma siamo in Democrazia perbacco!....
A proposito di Democrazia e di opinione pubblica, riporto una paginetta da Le nozze di Cadmo e Armonia di Roberto Calasso, giusto per far riflettere su come il tempo passa. ma le fregature (per gli uomini liberi) restano sempre le stesse.
"Atene non raggiunse mai Sparta nella pienezza dell'orrore, ma non le fu mai troppo da meno. Aveva appena scoperto la libertà, questo sapore che nessuno in Persia o in Egitto avrebbe sospettato - e subito scopriva anche nuovi modi di persecuzione, più sottili di quelli praticati da Gran Re e Faraoni. Il popolo dei delatori invase la piazza e il mercato, non più come corpo occulto di polizia, ma come libero collettivo di cittadini che vogliono l'utilità pubblica. E così anche: Atene scoprì l'eccellenza del singolo - e il risentimento bruciante contro di esso. Nessuno dei grandi del quinto secolo poté vivere ad Atene senza temere costantemente la possibilità di essere espulso dalla città o di essere condannato a morte. Ostracismo e sicofanti formavano la tenaglia che stringeva la società. Potente, nella pòlis, fu la meschinità giacobina, che vi riconobbe per primo Jacob Burckhardt. L'utilità pubblica poteva richiedere le sue vittime con la stessa fiera perentorietà con cui aveva usato esigerle il dio. E se il dio si serviva di indovini o della Pizia, che parlavano in esametri e per immagini oscure, la pòlis si contentava di un apparato meno solenne. Le bastava l'opinione, quella voce pubblica, mobile e assassina, che ogni giorno guizzava per l'agorà.
Nel suo retaggio Atene non lasciò soltanto i Propilei, ma i capannelli. Esemplare della città è l'aneddoto che ci è stato tramandato da Plutarco: Un analfabeta si avvicinò ad Aristide, che non aveva mai visto, e lo pregò di scrivere il nome Aristide su un coccio. Sarebbe stato il suo voto per l'ostracismo. Aristide gli chiese: - Che male ti ha fatto Aristide? -L'analfabeta rispose: - Nessuno. E non conosco l'uomo. Ma mi disturba sentire dappertutto che lo chiamano il Giusto -. Aristide scrisse il proprio nome sul coccio senza aggiungere una parola.
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