Mettiamo che ci siamo iscritti ad un corso di Meditazione.
Siamo lì, nella sala di pratica, con altri aspiranti.
L'insegnante ci conduce gradualmente a perfezionare la postura da seduti (di solito Siddhasana).
Ci dice di tenere la colonna vertebrale ben diritta, ma con la quinta lombare spinta in avanti. La nuca è tirata verso l'alto, col mento leggermente rientrato.
Poi ci guida nell'osservazione del respiro, dicendo di dare particolare enfasi all'espiro, che dev'essere lungo, profondo e...scendere verso il ventre.
Ad un certo punto, dopo diverse sedute di questo tipo, ci può dire di lasciar perdere anche il respiro e...dimorare nella nostra intima essenza.
E qui cominciano i nostri problemi di "meditanti": che sarà mai questa "intima essenza?"
Finché si trattava di rimanere "agganciati" a qualcosa di "percepibile" la nostra unica difficoltà risiedeva solo nel mantenere la "mente ferma" sull'oggetto della pratica.
Ma l'essenza? Come si percepisce l'essenza, il sé, la coscienza, la natura autentica?
Il punto da comprendere bene a questo riguardo è che l'essenza non è percepibile.
Nell'essenza, nel sé, si può solo dimorare attraverso un "processo" di "reintegrazione".
Divenendo esperti in questo processo di "riassorbimento" (ciò che viene definito pratyahara e dharana, cioè ritrazione dei sensi all'interno e concentrazione prolungata) naturalmente ci si riassorbe nella propria essenza, questo è il dhyana, la meditazione.
Allora resta solo una "limpida chiarezza" una viva trasparenza in cui non vi è più né osservatore né sensazioni da osservare. In questo stato il soggetto e l'oggetto si sono fusi. Niente più dualità.
Questo, naturalmente, è uno stato che all'inizio si sperimenta solo per brevi istanti - in genere si ricade subito in qualche tipo di sensazione, percezione o pensiero - ma tanto può bastare per lasciare un segno profondo nella nostra coscienza.
La nostra parte più intima ha "toccato" qualcosa.
Col tempo, e con la pratica assidua, i tempi di "permanenza" in questo "stato" di riassorbimento si allungano.
Ma occorre pazienza. Occorre capire che il "processo" è lungo (o dio...sin dalla prima "seduta" si possono avere forti esperienze, poi comunque si deve procedere, approfondire). E' un po' come fare immersioni e diventare esperti sommozzatori. Ma non ci si immerge per diventare esperti sommozzatori, piuttosto per il "piacere" dell'immersione (e di Piacere se ne scopre a tonnellate nella meditazione, quando si dimora nel sé).
Per questo bisognerebbe avere proprio una gran voglia di approfondire ciò che dicono quei testi che parlano di sé e non-sé.
Soprattutto bisognerebbe leggerne qualcuno, di quei testi, se veramente si vuol capire la meditazione. Leggere e praticare.
Ad esempio si può leggere Krishnamurti, gli Aforismi dello yoga di Patanjali, Aurobindo, qualche testo tibetano sulla meditazione, o qualche testo di matrice zen.
Insomma, ce n'è! Basta volerlo fare.
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