martedì 26 giugno 2012

Un po' di storia non raccontata? Gli Etruschi e l'Omphalos

La storia insegnata nelle scuole, si sa, è più simile a una barzelletta per bambini che a una seria ricostruzione delle vicende umane.


Basta leggere libri come "Il Sistema Solare", di Arthur E. Powell, per rendersi conto di quante cose ignoriamo sul lungo e affascinante cammino delle Razze  e Sotto razze Umane che si sono avvicendate sul nostro pianeta. Leggendo quel libro (che può anche contenere delle inesattezze) si ha una visione spazio-temporale enormemente dilatata del lungo procedere del cammino umano, riuscendo, di conseguenza, a meglio inquadrare il nostro presente.


Ad esempio leggiamo che Atlantide non era solo un Continente ma anche un lungo periodo storico (che, tra l'altro, non è stata soggetta ad un solo cataclisma).


Quella atlantiana è stata la Quarta Razza Madre (le Razze Madri sono Sette e coprono un arco di milioni e milioni di anni), a sua volta fu composta da Sette Sotto Razze: 1. i Rmoahal; 2. i Tlavatli; 3. i Toltechi; 4. i Turaniani; 5. i Semiti originari; 6. gli Akkadiani e 7. i Mongoli.


La Razza e il periodo Atlantiano, sempre secondo questo testo, ha coperto  un arco di tempo che va da 1 milione-800.000 anni fa, fino all'ultimo cataclisma del 9.564 a.C (quello descritto da Platone).


Dalla Razza precedente, man mano, si forma la Razza successiva, ma questa non scompare completamente. Le commistioni, sono quindi incredibilmente variegate.


La nostra Razza attuale è la Quinta Razza Madre, quella Ariana.
Le sue Sotto Razze sono: 1. gli Indù; 2. gli Arabi; 3. gli Irani; 4. i Celti; 5. i Teutoni. 


La sesta e la settima sotto-razza sono di là da venire.


Le sotto-razze, a loro volta, sono composte da ceppi, nazioni, eccetera.


Ma non voglio parlare di quel libro (il preambolo mi sembrava d'obbligo per passare alcune informazioni che spero siano utili a quanti sono curiosi di sapere qualcosa in più di "antropologia") quanto piuttosto passarvi due articoli trovati per "caso".


E nel farlo mi scuso per la forma un po' disordinata del secondo articolo, ma il mio editor proprio non ha voluto saperne di mettermi in ordine lo scritto.


Il primo articolo l'ho pescato per caso sulla rete, è scritto da Dino Vitagliano e si intitola:


L'OMBRA DEI RASNA - Il mistero degli Etruschi


Una gloriosa migrazione venuta da lontano approda sui lidi italici e da sempre sfugge alle ricerche più approfondite. Dov’era la loro patria? Perché scomparvero senza lasciar traccia? Un’analisi degli aspetti misterici e controversi degli Etruschi.





L’articolo non avrebbe la sua forma attuale senza il contributo prezioso e determinante di Romano Manganelli, da sempre appassionato cultore della civiltà etrusca, che con profonda umiltà mi ha permesso di comprendere i miei sbagli e rafforzare la validità delle mie ricerche. (n.d.A)









L’ombra dei Rasna

Gli Etruschi sono il popolo più enigmatico ed affascinante che appartiene all’Italia, territorio principe della loro influenza. Secondo il ricercatore Mario Gattoni Celli, le notizie storiche su di loro non coprono più di cinque o sei pagine di libro. Nulla di più esatto. 

I testi scolastici sorvolano rapidamente sulla potente monarchia etrusca sviluppatasi per molte generazioni, formata da sette re che gli alunni ripetono in successione come una filastrocca, dopo i quali si giunge immediatamente alla nascita della repubblica romana. I saggi degli studiosi, dal canto loro, aggiungono soltanto che gli Etruschi erano autoctoni della nostra penisola che parlavano una lingua indecifrabile e raggiunsero livelli eccelsi nelle arti, nella politica e nell’architettura, evitando di sottolineare le conquiste umane e spirituali donate all’impero romano. Negli ultimi anni, dopo attente riflessioni, si è fatto in strada in chi scrive il sospetto, divenuto pian piano certezza, che un fitto velo di silenzio sia calato sulla stirpe etrusca, per nascondere segreti di vitale importanza. Gli Etruschi non sono mai morti e ci hanno donato un tesoro inestimabile che narra una storia, la nostra, iniziata molto tempo fa.


Discesero dai Giganti


I ricercatori più audaci pongono l’origine degli Etruschi in Lydia, a oriente di Smirne, citando Erodoto che scrive ne Le Storie, I, 94: "Raccontano i Lidi che sotto il re Atys, figlio di Manes, vi fu in Lydia una grande carestia; per un po’ la popolazione vi tenne fronte, ma poi, visto che non cessava, … il re divise il popolo in due parti… A capo dei designati a rimanere pose se stesso; degli altri designati a partire, il proprio figlio Tirreno. Gli esuli scesero a Smirne, costruirono delle navi…e salparono alla ricerca di una nuova terra…, finché dopo aver costeggiato molti paesi, giunsero presso gli Umbri dove fondarono città che tuttora abitano…". 

Manes, analogo al primo faraone egizio Menes, è il leggendario monarca Manu, nome collettivo che incarna la guida delle sette razze–madri con le corrispettive sottorazze. Il Manu aveva condotto moltissime migrazioni in epoche antidiluviane dalla primordiale Isola Bianca nel Mar del Gobi, la mitica Thule, territorio tropicale lussureggiante che estendeva i suoi confini al Polo Nord, sino alla formazione dei continenti di Mu e Atlantide. Gli Etruschi chiamavano se stessi Rasna, dalla radice ra, analoga al Ramu, re–sacerdote di Mu, Rama in India e al Ra egizio, personificazione dell'energia solare, cuore vitale del Cosmo. Simboli la svastica ed il globo alato delle tavolette di Mu, effigiate rispettivamente sui muri di Sovana, a Grosseto, e nella Tomba dei Rilievi di Caere. Le vie commerciali degli Etruschi erano le Tule che giungevano sino in Himalaya, e il cui eco ritroviamo nel toponimo Caput–tolium, capo delle Tule, il Campidoglio. Roma, infatti, sorge sul Tevere che incarna la Via Lattea e ha sette colli come gli astri dell'Orsa Maggiore, vicina alla stella polare citata nel Rg-Veda indù, asse del cielo che pulsa a Thule.

Antenati degli Etruschi sono i Toltechi, terza sottorazza principe della stirpe atlantidea, come apprendiamo dall’opera di Arthur Powell, Il Sistema solare. Di colore rosso–bruno, avevano un’altezza prodigiosa e primeggiavano nell’arte edilizia con templi ciclopici, strade lastricate e ponti. Crearono un impero splendente durato diversi millenni, quando un cataclisma si abbattè su Atlantide e i Toltechi si spinsero nelle Americhe, fondando la civiltà incaica, mentre i suoi eredi edificarono nel IX sec d.C. Tula in Messico, con i loro enormi "atlanti". Il gene tolteco si ritrova intatto nella sesta sottorazza akkadiana, propria degli Etruschi, che presentano legami inestricabili anche con gli Egizi, i Maya e gli Indiani del Nordamerica, altri discendenti dei Toltechi. 


Un colore regale

Gli affreschi nella Tomba del Triclinio, a Tarquinia, ritraggono uomini rossi, mentre la Tomba degli Auguri presenta personaggi di rango elevato del medesimo colore che si stagliano sopra individui comuni. Un altro ancora tiene fra le mani un uovo, segno della creazione eterna. I re etruschi, durante le cerimonie rituali, si tingevano di rosso con il minio, e rosso sarà il colore preferito dall’imperatore Nerone. Il rosso, ammettono gli studiosi, ha carattere sacro, senza spiegarne però il motivo. Simboleggia gli ancestrali predecessori e rimanda al culto del pianeta Marte, incarnato dalla Sfinge leonina interamente rossa, a Giza, e dal giaguaro della piramide di Chichén Itzà. Il felino sacro ricompare di nuovo a Tarquinia, nella Tomba dei Leopardi e in quella delle Leonesse, in realtà giaguari. I pellerossa del Nordamerica, infine, come gli Etruschi conservano sepolcri a forma di tumulo e venerano i simboli dell’uovo e del serpente. 



Parlavano sanscrito

Ma chi erano in verità gli Etruschi? La lingua ne penetra il mistero? L'imperatore Claudio, affascinato dal loro mondo, scrisse i Tirrenika in venti volumi, spariti nel nulla. Stessa sorte subirono gli Annuali Etruschi custoditi nel Tabularium Capitolinum, che narravano la vera origine dei Romani, i Libri Etruschi e i Tusci libelli, conservandosi soltanto qualche frammento negli autori latini. Strano, dato che gli scolari romani andavano a studiare l’etrusco nella prestigiosa Caere. La lingua dei Rasna, afferma il filologo Bernardini Marzolla, svela un’antica discendenza dal primo idioma del pianeta: il sanscrito. Il testo più completo è inciso sulle bende di una mummia scoperta in Egitto due secoli fa, ora al Museo di Zagabria. Le strisce di tela, quattordici metri, compongono il "Libro della Mummia", aggiungendosi alle oltre dodicimila iscrizioni rinvenute. 


Adepti della Grande Madre

Intorno al 1.000 a.C., gli abitanti della Lydia dimorarono nell’isola di Lemno con capitale Efestìa, nel Mar Egeo, disseminata di necropoli e santuari alla vergine nera Cibele, invocata come madre dell’Indo. Le fanciulle raticavano la sacra teogamia in collegi particolari, che ricordano quelli delle Mamacones inca e delle Vestali romane. La società etrusca era di tipo matriarcale, come Atlantide, con le donne che presenziavano ai sacri culti e godevano di un peso influente nelle decisioni più importanti. Prova ne è la tomba Regolini–Galassi, scoperta nel 1836 a Caere, che ospitava la principessa Larthia, con indosso un fibula intessuta di minuscole sfere granulate. Rivelatrice, poi, la storia di Lucumone, figlio di un nobile corinzio, che insieme alla moglie Tanaquilla giunge a Roma da Tarquinia nel VII sec. a.C. Alle porte di Roma, un aquila afferra il cappello di Lucumone per poi restituirglielo. Un presagio sacro, simile al mito azteco, e alla fondazione della metropoli di Cajamarquilla in Perù, dove un condor avrebbe incoronato il suo fondatore. Tanaquilla è un nome incaico, dato che quilla significa luna, suggerendo che la donna appartenesse ad un antico culto lunare. In etrusco, lo stesso nome è Thanakhvil, dove than è l’aspetto femminile del dio Tin e akhvil è ancella, in quechua aclla, indicante cioè "le ancelle degli dèi", un ordine sacro. 


Gli avamposti megalitici 

Lucumone entrerà a Roma mutando il suo nome in Tarchunies Rumach, Lucio Tarquinio Prisco, e diverrà re nel 607 a.C. dopo la morte di re Anco Marzio (strana assonanza con il termine egizio Ank–hor). Sarà lui a drenare l’acqua che alimenterà il Tevere dai colli attorno a Roma, a creare il Foro Boario, il Tempio di Vesta e il Circo Massimo, luogo di culto. Suo è anche il magnifico tempio di Tinia–Giove sul Campidoglio. Roma, territorio di povere palafitte, entrerà a far parte delle dodici città sacre che coprivano l’intera Etruria, mentre un numero analogo di metropoli interessò la Campania. Nell’erezione di un sito, i geomanti etruschi tracciavano due linee ad angolo retto in direzione nord–sud, il cardo maximus, e il decumanus maximus con andamento est–ovest, ponendo nel punto d’intersezione la pietra omphalos, ritrovata spesso intatta dai moderni mezzi di rilevamento. 

Le metropoli etrusche annoverano Cortona, Arezzo, Fiesole, Tarquinia, Vulci e Populonia. Il monumentale complesso urbano di Caere, con una necropoli che copre 360 ettari, era anticamente il porto più potente del Mediterraneo, insieme ad Hatria, e da innumerevoli altri sulla costa Tirrenica. Uno dei più antichi insediamenti è Vetulonia, che superava Atene con oltre centomila abitanti. Le sue pietre megalitiche un tempo si stagliavano sulla collina–tumulo, ugualmente a Ollantaytambo sulle Ande. Sulla ciclopica Cosa, vicino Orbetello, vigila una Sfinge di pietra e il contiguo monte di Ansedonia è scolpito con animali mitologici analoghi a Marcahuasi. Indistinguibili, poi, la cinta muraria di Volterra lunga 8 km e quella di Pisaq in Perù, come pure i blocchi poligonali di Alatri e Amelia, pesanti centinaia di tonnellate, e Sacsayhuaman, sovrastante Cuzco. Le profonde affinità degli Etruschi con gli Inca trovano autorevole conferma in Zecharia Sitchin, da noi interpellato, il quale ha risposto affermativamente circa la nostra intuizione di un simile legame con la lontana America. 

Colpisce, poi, l’omofonia di Chianciano (probabilmente consolidatosi da un etrusco Clanikiane) e Chan Chan, capitale del Gran Chimù peruviano, le quali conservano anche identiche urne funerarie antropomorfe risalenti al VII sec. a.C. A Poggio Murlo, Siena, è stata rinvenuta anche una statuina con barba posticcia di un "antenato", munita di uno strano sombrero simile al copricapo del Guerriero di Capestrano. Infine abbiamo Veio, patria dell’artista Velca, che scolpì la magnifica statua di Apollo, divinità la cui l’effige sul Palatino sarà alta 15 metri. La stirpe degli Amhara o Aymarà, che abitarono l’antic Ameria (Amelia) con il nome di Amr, adoravano Apu Illu, Signore dei fulmini, sul Monte Soracte in Bolivia, mentre i Romani costruirono sul Monte Soracte, cantato da Orazio nelle sue Odi, un santuario ad Apollo.


Le invisibili arterie di Porsenna 

L’opera più imponente è il Mausoleo di re Porsenna a Chiusi, tratteggiato da Varrone e Plinio nei loro libri. La struttura sembra un tempio buddhista con ben quindici piramidi di altezza indescrivibile e una sfera di bronzo al centro, che emetteva particolari frequenze. I suoi pinnacoli antenne rivolte al cielo per incanalare l’energia cosmica. Costituiva il centro oracolare madre in Italia, legato con quelli di Delfi, Dodona, Tebe, Heliopolis e Metsamor, in Asia Minore. Sotto il vicino Poggio Gaiella si diparte una fitta rete di gallerie sotterranee inesplorate che formano il labirinto di Porsenna, cuore cerimoniale connesso con le dodici città–stato e le metropoli gemelle al di là dell’oceano. Anche le catacombe sotto San Pietro, una volta templi etruschi, erano parte di questo disegno. 

Funzione iniziatica avevano i cunicoli ad U, come quello lunghissimo ed inquietante di S.Valentino e altri a Pitigliano, Sorano e Sovana, un’area archeologica di notevole interesse, costellata delle famose "tagliate". Queste enormi strade nel tufo, che paiono scavate con il laser, si ergono vertiginose nelle vicinanze di necropoli, templi, luoghi sacri, e spesso vicine le une alle altre. Sorte al ritmo del flauto, con cui gli Etruschi scandivano ogni attività, richiamano alla mente il musico greco Anfione, il quale edifica Tebe "alla musica delle sua lira", presumibile scienza sonica antidiluviana. Se l’enorme traforo sotto Castel Gandolfo, più di 1 km, è un’opera di ingegneria idraulica, lo scopo delle "tagliate" non è ancora chiaro. Alla luce delle attuali cognizioni, rappresentano allineamenti astronomici o tellurici di rilevante importanza, istoriate da glifi cosmici. Il tufo, infatti è un materiale radioattivo, rinvenuto anche a Cuzco e sulla piana di Nazca.


Guardiani della vita

L’illustre linguista Georges Dumézil, in appendice alla sua opera La religione romana arcaica (Rizzoli, 2001), dichiara in toni concisi che i Romani mutuarono da un "passato indoeuropeo" un solido sostrato rituale, che "l’apporto etrusco" modificò lievemente. Una contraddizione in termini. Per amore di chiarezza, facciamo notare che gli Etruschi sono l’elemento indoeuropeo, e i Romani si limitarono ad adottare le loro elevatissime concezioni, come in precedenza i Greci, poi totalmente stravolte. 

Gli Etruschi erano un popolo pacifico, costretto ad impugnare le armi soltanto a causa delle vessazioni di Roma. Avevano una visione animista, in cui l’Universo tutto pulsa di vita e ogni organismo è connesso. Da qui l’amore per la Terra, i boschi, le fonti, le montagne e il cielo, sinfonia sublime dell’Energia Prima, che nel corpo umano esprime la sua sacralità attraverso le funzioni sessuali. Il loro pantheon è formato da numerosi personaggi ed esseri ausiliari, esprimenti i molteplici aspetti di una lontana dottrina esoterica, invisibile ai profani. Similmente agli gnostici, ritenevano, infatti, l’uomo al centro delle forze luminose ed oscure, in grado di stabilire da solo quale via intraprendere per tornare in alto. 


Il linguaggio della Natura

Le rivelazioni uraniche si ritrovano nei Libri acherontici, sulle dimensioni nascoste, rituales, fatales, e i Libri haruspicini riguardanti l’epatoscopia, o esame del fegato, per gli Etruschi un piccolo cosmo in movimento. Una scienza definita dai Romani "etrusca disciplina". I volumi provenivano dal sapiente fanciullo Tages, spuntato da una zolla di terra, informazione che ci ricollega al regno sotterraneo di Agarthi. La Madreterra donò agli Etruschi la geometria sacra e il suono primordiale, con il quale ammaliavano gli animali. Notevole l’incisione del mandala esoterico "fiore della vita" a sei petali, di matrice indiana, trovato sulla stele del guerriero Avele Feluske, a Vetulonia. La disposizione reticolare dei massi negli edifici replica la struttura biologica della cellula, facendo sì che l’intera costruzione prenda vita e "comunichi" determinate frequenze, particolarmente attive presso i corsi d’acqua. L’elemento liquido aveva una funzione purificatrice, ancor oggi apprezzata nei centri termali di Saturnia e Petriolo. Numa Pompilio, che le tradizioni descrivono come monarca pacifico e illuminato, era in contatto con la ninfa Egeria, che abitava una sorgente nel bosco sacro vicino al fiume Almene. L'acqua sorgiva magnetizza i raggi cosmici, come gli infrarossi, rigenerando la terra e le forme di vita. Nell'uomo potenzia la memoria ancestrale e inonda l'ipotalamo di energia planetaria. 


Il bagliore di Zeus 

Numa compose dodici libri di "scienze naturali" che nascose in un’arca nel suo sepolcro, trovato poi vuoto, e introdusse il calendario solare di 365 giorni e ¼. Padroneggiava il "fuoco di Zeus", l'elettricità, e i suoi templi possedevano parafulmini all’entrata. Il suo successore, Tullo Ostilio, morì invece incenerito dalle scosse fulminanti. Il segreto di Numa passò a Porsenna, che nel VI sec.a.C. polverizzò Bolsena, invocando una folgore celeste, e sconfisse con una scarica elettrica un essere feroce dal nome profetico: Volt. 

Lo studio dei tuoni e dei fulmini era codificato nei Libri fulgurales, con le istruzioni per evocare, dominare e guidare le folgori. Riti complessi seguivano alla caduta di un fulmine in un determinato luogo, che veniva immediatamente recintato per precauzione e dichiarato sacro, per la presenza nel terreno di ferro meteorico dei bolidi stellari, vitale agli Etruschi. I fulguratores, provvisti di cera nelle orecchie, allontanavano le vibrazioni residue modulando una parola sacra. Alle Sorgenti della Nova, un’antica metropoli guarda da una scalinata il Monte Becco, santuario etrusco, dove ancor oggi avvengono strani fenomeni magnetici. Anche Costantino, sacerdote del Sol Invictus, consultava segretamente gli aruspici etruschi, disposti a lanciare folgori sui Goti di Alarico nel 410 d.C., sotto papa Innocenzo. I fulgurales erano una parte dei Libri Vegoici, dono della ninfa Vecu al tempio di Apollo, in cui possiamo ravvisare i famosi Libri Sibillini, portati all’imperatore Augusto da una donna misteriosa e distrutti dai cristiani nel 400 d.C. 


Gli iniziati sonici

Numa istituì il collegio dei lucumoni, formato da 60 sommi sacerdoti abbigliati con la veste di porpora, la catena d’oro, il tutulo conico sul capo che funge da ricettore celeste. In mano il lituo, lo scettro ricurvo sormontato da un’aquila, che emetteva onde sonore. I lucumoni erano medici–sciamani che viaggiavano nei mondi astrali acquisendo prodigiose conoscenze utili alla guida della comunità, come avviene nella culture siberiane ed uralo–altaiche. Fra gli Inca assumevano il nome di astronomi Tarpuntaes. Sempre a Numa dobbiamo la creazione di un altro enigmatico collegio, quello dei Flamines Dialis, custodi del soffio terrestre, che nascondono nel nome l’energia fiammeggiante della kundalini, alla base della spina dorsale. Costretti da severissime norme, dormivano in grotte sacre sopra un piccolo pertugio nel terreno. Il loro abbigliamento consisteva in una "camicia" dalle ignote funzioni e una sorta di stetoscopio con un filo di lana che captava l’afflato tellurico, vestimento che nell’insieme lascia intravedere perdute operazioni geotecniche di vulcanologia. 





La stirpe del silenzio

Centro iniziatico e cuore della vita etrusca è il Fanum Voltumnae, nella fitta selva del Lamone intorno al Lago di Bolsena, che estendeva i suoi confini sino a Tarquinia, formando un luogo sacro al confine tra cielo e Terra. Qui, nel sacro Tempio, i lucumoni delle dodici città sacre si riunivano ogni anno per eleggere un nuovo sacerdote e celebrare la cerimonia misterica della Paska, in cui si spezzava il pane e si beveva il vino, mentre i partecipanti ricevevano una melagrana, la rigenerazione. I Rasna erano a conoscenza che il loro compito sulla Terra volgeva al termine, come gli Incas che lessero nelle stelle uguale ammonimento. Dieci "saecula" durava la civiltà gloriosa che avevano creato, e nulla, nemmeno il più potente dei lucumoni, era in grado di opporsi. Scomparvero all’alba di un nuovo Sole, stirpe coraggiosa che in silenzio aveva plasmato il tempo.



Bibliografia

Aziz, Philipphe La civiltà etrusca - Libritalia, 1996
Celli, Mario Gattoni Gli Etruschi dalla Russia all'America - Carabba, 1968
Churchward, James Mu: il continente perduto - Armenia, 1999
Collins, Andrew Il sepolcro degli ultimi dèi - Sperling & Kupfer, 1999
Compassi, Valentino Dizionario dell'universo sconosciuto - SugarCo, 1989
Drake, Walter Raymond Quando gli dèi camminavano sulla Terra - Casa Editrice Meb, 1982
Feo, Giovanni Misteri etruschi - Stampa Alternativa, 2000
Gatti, Enzo Gli Etruschi - Edizioni Frama Sud - 2 voll.,1979
Hancock, Graham Lo Specchio del Cielo - Corbaccio, 1998
Kolosimo, Peter Italia mistero cosmico - SugarCo, 1987
Marzolla, Piero Bernardini L'etrusco - Una lingua ritrovata - Mondadori, 1984
Moreau, Marcel La civiltà delle stelle - Corrado Tedeschi Editore, 1975
Pallottino, Massinmo a cura di Gli Etruschi - Bompiani, 1992
Pincherle, Mario Come esplose la civiltà - Filelfo, 1977
Powell, Arthur Il Sistema Solare - Edizioni Alaya, 1993
Quattrocchi, Angelo Miti, riti, magie e misteri degli Etruschi - Vallardi, 1992




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Il secondo articolo, molto più breve, proviene da Castell'Alfiero.net, ed è sull'Omphalos:

La parola Omphalos o Centro Sacro è di origine greca (traduzione: ombelico), ma la sua tradizione ed il suo significato, simili a quelli della triplice cinta, sono molto più antichi e legati a culti e tradizioni che affondano le loro radici nella notte dei tempi, forse appartenenti alla civiltà 

celtica.



Per gli antichi Greci, l'onfalo era un oggetto simbolico che contrassegnava un luogo sacro, emblema del "centro del mondo", il punto saldo ed immobile dal quale la divinità si manifesta.



Il simbolo è costituito da un normale quadrato, nel quale sono tracciati otto raggi che formano al suo interno due croci greche, sfasate di 45°.










Ricorda la bandiera della Gran Bretagna (detta Union Jack), drappo in realtà frutto della somma 








- sovrapposizione delle 3 bandiere dell’Inghilterra (composta dalla Croce di San Giorgio), della 

Scozia (composta dalla Croce di Sant’Andrea), e quella antica dell’Irlanda (con la Croce di 

San Patrizio).








Una sua variante è costituita da quattro quadrati semplici, ciascuno con gli otto radiali tracciati 
all'interno, sovrapposti in modo da formare un altro quadrato più complesso.

Gli omphalos sono stati utilizzati da varie civiltà, rappresentati in molteplici altre forme: coni di 
marmo, megaliti, menhir, pozzi, obelischi e monumenti costruiti dall'uomo; si rinvengono in 

località di particolare rilevanza sacra per antichi culti, identificato come il luogo dal quale 

fuoriescono energie che permettono di avvicinarsi al divino.














La parola ombelico è usata dunque per indicare il "centrum" di un qualcosa, del mondo, della 
religione, del pensiero, di una civiltà o semplicemente di una comunità ed esso sarebbe un 

centro sacro, la proiezione sulla terra di un cono celeste, un luogo di comunicazione ove il 



"divino" si unisce con il "terrestre", uno spazio dove dimora la divinità.


La presenza di un simile simbolo sta espressamente ad indicare la centralità e la sacralità del 

luogo.




L’idea di "connessione cosmica" tra mondi diversi la troviamo nella chiesa Madonna della Neve 

di Castell’Alfero ben espressa e chiara; l’omphalos è stato inciso non a caso sullo stipite destro 
della porta d’ingresso della chiesa, proprio all’altezza degli occhi.




Questo graffito è un segnale per la persona avveduta, il modo per indicare un preciso punto: la 
via per raggiungere la sacralità, cioè l’interno della chiesa al cospetto di Dio.

Il simbolismo numerico dell’omphalos è stato nel tempo evidenziato più volte.

La stessa figura è ancora oggi utilizzata dalla Massoneria come chiave dei numeri, perché è 
possibile scomporla in modo tale da ottenere tutte le cifre arabe, in forma più o meno stilizzata.

In questo simbolo sono otto i raggi ed uno dei principali significati del numero 8 è giustizia od 
equilibrio i cui concetti si riferiscono direttamente a quello del Centro.


Le otto linee tracciate nel quadrato formano lo schema nel quale gli antichi astrologi inscrivevano 
lo Zodiaco.


Inoltre, questa figura è stata più volte accostata a quella della "Gerusalemme Celeste", con le 
sue dodici porte, tre per ciascun lato.









Un notevole ma allo stesso tempo sconosciuto omphalos si trova in Piazza del Campidoglio a 
Roma.

Il disegno geometrico presente nella pavimentazione della piazza è appunto di Michelangelo, 
progettato con la stessa piazza nel 1536, seppur restaurato solo nel 1940.

Si ritiene che nel realizzarlo Michelangelo non abbia voluto tracciare un semplice motivo 
ornamentale o geometrico ma un’ovale ombelico del mondo, perché il Campidoglio era un 

luogo sacro per gli antichi romani: il punto di arrivo del percorso trionfale che percorreva i Fori 

imperiali, Umbelicus Caput Mundi.







Nel progetto originario michelangiolesco al centro della piazza doveva essere posto un obelisco, 
ma invece, per volere di Papa Paolo III, vi è stata posta la statua in bronzo dell’imperatore Marco Aurelio a cavallo.

L’omphalos che è il motivo pavimentale della piazza e la statua di Marco Aurelio sono stati 
riprodotti sulle monete da 50 centesimi di euro italiane.







La Chiesa romanica Madonna della Neve di Castell'Alfero ha incisi sulle sue pareti due 
Omphalos, graffiti tracciati molti secoli orsono e venuti alla luce dopo la rimozione degli antichi 


intonaci, effettuata durante i recenti restauri.




Si trovano all'esterno della pieve, in facciata, ai lati della porta d'ingresso.




1 commento:

  1. Bell'articolo... volevo solo precisare una cosa, non trascurabile...... la statua di Apollo alta 15 metri posta per circa 400 anni sul campidoglio, fino a che i cristiani non ne fecero metallo da fonderia, fu "prelevata" ad Apollonia Pontica, odierna Sozopol, città vicina a Burgas in Bulgaria, dai Romani invasori. Senza voler offendere gli etruschi, però quella statua di Apollo vene da una colonia greca occupata dai Romani.

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