mercoledì 21 settembre 2011

Il tabù dell'argomento "morte"



Io sono nato, e ho trascorso gran parte della mia adolescenza e della giovinezza, in un paese del sud Italia.

Ai miei tempi quasi tutte le case del paese erano a piano terra. Così quello che accadeva in una casa era praticamente di dominio pubblico...anche la morte.

La prima volta che ho visto un morto (avevo circa cinque anni) sono rimasto a contemplarlo per ore. Si trattava di un vecchio: il marito della nostra vicina di casa.

Da allora mi è capitato spesso (in verità me l'andavo a cercare) di andare a passare delle ore a contemplare la morte. Ho visto neonati morti, anziani, adolescenti, donne e giovani...

Per carità, non fatevi l'idea di un ossessionato da queste cose. Le mie giornate le passavo all'insegna della vita. Pulsavo di vita fresca e, spesso, passionale.

Avevo molti amici, giocavo nei campi, salivo sugli alberi, mi innamoravo delle ragazzine, conoscevo mille giochi...insomma: non ero certo un bambino chiuso o con attitudini morbose.

Ma quando mi capitava non mi facevo scappare l'occasione di fermarmi a contemplare il più grande mistero di tutti: quello della morte.

Guardare il volto impassibile di un cadavere, finalmente coi tratti del volto distesi (casomai osservando attentamente le palpebre, per accertarmi che non muovesse gli occhi); sentire l'odore dolciastro che riempiva la stanza; cercare di indovinare cosa faceva quell'uomo da vivo; cercare di capire qual'era la differenza tra la vita e la morte: cosa mancava a quel corpo? Perché ora non poteva più muoversi, parlare...vivere?

E poi...osservavo la gente presente.
E mi balzava subito all'occhio la differenza tra chi soffriva realmente per la cara perdita e chi, invece, era lì solo per dovere.

Poi sono cresciuto.

E se da bambino potevo mischiarmi tra la folla dei parenti senza essere notato, da grande non ho potuto più fare questo tipo di esperienze (salvo rari casi di morte di amici e parenti).

Quando poi è arrivata la "svolta", avevo circa ventidue anni (dopo aver letto il Siddharta di Herman Hesse, La vita di Milarepa, la Bhagavad gita, Essenza del Buddhismo Zen di Suzuki, l'I Ching e il Vangelo in un periodo molto delicato della mia vita), una "nuova luce" mi invase, e non riuscivo più ad accettare ciecamente una vita vissuta solo per la gratificazione sensoriale e meccanica.

La vita e la morte assunsero, per me, un significato nuovo, ma ancora più misterioso.

E la "certezza" che un giorno dovevo pur morire e che dovevo perdere i miei cari, man mano che diventava più forte in me, mi faceva crescere la voglia di sapere se vi era una alternativa, se vi era una qualche "parte" immortale dentro me e gli altri.

- Perché nascere e morire nell'inconsapevolezza di chi siamo realmente? - mi chiedevo.

Ma ben presto mi accorsi che questi argomenti non interessavano granché ai miei amici.
Anzi, spesso i miei discorsi li infastidivano.
Soprattutto l'argomento "morte".

Scattava qualcosa in loro, un rifiuto viscerale verso qualunque discussione che contenesse all'interno questa parola: morte.
Loro facevano di tutto per riempire il tempo, ma non farsi domande...soprattutto sulla morte. Non era divertente.

Pian piano ho capito, e l'ho accettato.

Ho capito che quella di ignorare l'esistenza della morte è proprio una caratteristica dei nostri tempi, una caratteristica che va avanti già da un bel pezzo. Da secoli.

Facciamo come gli struzzi. E pensiamo che solo non parlandone, non pensandoci, possiamo evitarla.

Per me, invece, la consapevolezza della certezza della morte (sempre senza morbosità, s'intende) è una porta di accesso ad un "modo più intenso" d vivere.

Non so come dirlo...

Sapere che comunque dobbiamo morire, che non sappiamo dove come e quando accadrà, ci può dare il coraggio per essere più dignitosi, meno meschini, ...più presenti al qui ed ora.

Questa consapevolezza può farci apprezzare mille volte di più ogni istante che viviamo: una carezza che riceviamo, un sorriso di chi ci ama...una telefonata.

Qualunque cosa vissuta con la consapevolezza che la morte è un "evento" naturale - e una fase di passaggio ad altri "stati di coscienza" - può amplificarsi di molto, conferendo una diversa "intensità" alla nostra esistenza.

Ma forse non sto scrivendo per nessuno. Forse non avrete finito di leggere questo post....

....l'argomento "morte" è ancora un tabù molto forte da sradicare!

3 commenti:

  1. no, a qualche cosa è servito... per esempio a me! Grazie, mi conforta sapere che altri la pensano come me! FalcoNero

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  2. molte persone la temono e parlane apertamente è considerato un segno di morbosità. Ho avuto occasione di accorgermene già da bambina quando facevo domande per curiosità e tutti mi rispondevao di pensare alla vita piuttosto che sprecare il mio tempo. Ma non credo di star sprecando il mio tempo semplicemente ponedomi una domanda che tutti almeno una volta si sono posti.

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  3. credo che i tuoi pensieri siano molto più comuni di quanto tu possa immaginare...

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