giovedì 29 settembre 2011

Una firma per salvare i blog



Abbiamo un modo "democratico" per disinnescare l'emendamento che andrebbe a mettere in serio pericolo anche l'esistenza di blog e siti di privati cittadini che non hanno, in caso di denuncia, una struttura legale (come nei casi di testate giornalistiche) in grado di difenderli da eventuali sanzioni ai loro danni per denuncia per diffamazione.

Su questo sito http://www.agoradigitale.org/emendamentisalvablog si stanno raccogliendo firme da presentare ai parlamentari italiani che stanno riprendendo in mano il DDL sulle intercettazioni e sulle restrizioni sulla libertà di parola attraverso la rete.

Io ho già firmato....perché non firmi anche tu?

lunedì 26 settembre 2011

Il libro del mese - BUDDHA, la vita felice



In questa libro bello e intenso (ma economico), che fa parte di una serie di quattro (La vita felice, La saggezza, La filosofia, La serenità), l'autore Mauro Maggio, esperto di buddhismo - nonché scrittore ed editore (Adea Edizioni) - fa una chiara ma esaudiente sintesi (direi 'ispirata') di quello che è stato il messaggio principale del Buddha: la liberazione dal dolore.
L'autore - a volte parlando in proprio, altre volte lasciando parlare il Buddha - ha il pregio di aver saputo estrapolare passi significativi dell'immenso corpus di scritti appartenenti all Canone buddhista.

Dalla quarta di copertina:

"Fa' ciò di cui non ti pentirai, fa' ciò che ti porterà gioia".

Non c'è alcun dubbio che l'essere umano aneli alla felicità, sia essa in termini materiali, psicologici o ideali.
Vogliamo essere felici, questo è tutto. Ma cosa ci impedisce tutto questo? Semplicemente il dolore, quella sofferenza che sperimentiamo, sia quando abbiamo avuto tutto dalla vita, sia quando - al contrario - sembra che ogni soddisfazione ci sia negata.
Il Buddha si pose esattamente questo obiettivo: non tanto il raggiungimento della felicità, bensì la cessazione del dolore. Ci riuscì, e regalò al mondo la Via - il metodo - in grado di portare chiunque alla stessa realizzazione. Vinse il dolore e, nello spazio immenso che si venne a creare, incontrò la più grande felicità possibile: la beatitudine.

Dal libro:

...Soprattutto nella tradizione del buddhismo zen giapponese, l'accento rivolto alla presenza mentale ha prodotto arti di raffinatezza irraggiungibile (cerimonia de tè, tiro con l'arco, calligrafia, ikebana, ecc.). Nello zen, l'utilizzo della concentrazione su un'unico punto, in un'azione qualsiasi, rende possibile, nella perfezione del gesto, il raggiungimento del Satori (l'esperienza del Risveglio) liberante.

La consapevolezza, dunque, secondo l'insegnamento del Buddha, rappresenta un elemento centrale della pratica quotidiana...

La consapevolezza conduce alla vita eterna,
l'inconsapevolezza alla morte.

Chi si è risvegliato alla propria vera natura non muore.
L'inconsapevole vive come se fosse già morto.

(Dhammapada, Appamada Vagga)


Ecco che un monaco vigila presso il corpo sul corpo,
instancabile, con chiara mente, sapiente,
dopo aver superato le brame e le cure del mondo;

allo stesso modo vigila sulle sensazioni con le sensazioni;
presso l'animo sull'animo; presso i fenomeni sui fenomeni.

E come lo fa?
Un monaco si reca all'interno della foresta,
o sotto un grande albero, o in un vuoto eremo,
si siede con le gambe incrociate, il corpo diritto,
e si esercita nel sapere.
Cosciente egli inspira, cosciente espira.
Se inspira profondamente egli lo sa;
se inspira brevemente, egli ne è consapevole.
'Voglio inspirare sentendo tutto il corpo',
'Voglio espirare sentendo tutto il corpo',
'Voglio inspirare calmando questa combinazione corporea',
'Voglio espirare calmando questa combinazione corporea;
così egli si esercita.

Così come un abile tornitore o garzone tornitore
tirando fortemente sa 'Io tiro fortemente',
tirando lentamente sa 'Il tiro lentamente':
così accade al monaco allorché inspira ed espira.

(Majjhima Nikaya, Satipatthana Sutta)


- BUDDHA, la vita felice, a cura di Mauro Maggio, Liberamente ed. -

venerdì 23 settembre 2011

Buon fine settimana con gli Uzeb in "Après les confidences"

Un saluto e un grazie a Franz's Blog per avermi fatto conoscere questo gruppo e questo brano dolcissimo e suggestivo.

Buon fine settimana da Sagitta55




I Fiori di Kama - Ognuno di noi ha la capacità di andare oltre i propri limiti...ma occorre desiderarlo intensamente!




Capita spesso, a ognuno di noi, di lamentarsi dei limiti sperimentati nella vita di tutti i giorni: limiti fisici, intellettivi, di relazione, lavorativi...economici. E di solito diamo la colpa agli altri o alla vita in generale.

Ma se andiamo a fondo nell'osservare tutte le dinamiche dietro ogni singolo caso, vediamo che quasi sempre siamo noi stessi a "mettere dei paletti" alle nostre possibilità di crescita, di espansione...di fare nuove esperienze.

Vuoi per pigrizia fisica o mentale, vuoi per abitudini ormai consolidate (a cui non vogliamo proprio rinunciare perché ci fanno comodo), vuoi per debolezza di volontà, vuoi perché ci siamo adeguati ad un modo di vedere collettivo restrittivo, fatto sta che non ci riesce proprio di andare oltre i nostri limiti. Almeno non spontaneamente.

Succede così che portiamo avanti lo stesso lavoro per quarant'anni, fino a divenire spenti, logori e demotivati.

Oppure succede che portiamo avanti per decenni una relazione di coppia che continua a reggersi solo su consuetudini, sulla morale e sugli interessi personali (mia moglie mi fa comodo tenerla perché sa dove sono conservati i miei calzini).

Con questa attitudine "passiva", in pratica, si continua a vivere in un "circuito chiuso" da cui non scaturirà mai nulla di nuovo (pardon: nasceranno i nipotini).

Eppure l'uomo ha la capacità, se lo vuole, di andare oltre i propri limiti, di "viaggiare" veramente, nella vita: basta che impari ad ascoltare i propri desideri profondi. Quelli che tornano e ritornano.

Il desiderio è il "carburante" che dovrebbe muovere la "macchina" umana, non il bisogno.

I bisogni dovrebbero essere ridotti al minimo indispensabile: il bisogno di mangiare, di dormire, di ripararsi dal freddo...

E in proporzione dovremmo imparare a far crescere il desiderio: il desiderio di stare con qualcuno che ci piace, il desiderio di viaggiare, di una bella camicia, di approfondire un certo argomento che ci sta a cuore, di visitare un museo...

Non c'è fine al desiderio.

I bisogni rendono schiavi, dipendenti.

Il desiderio - man mano che viene soddisfatto - ci sazia, ci fa espandere e ci porta, alla fine, a fondere tutti i desideri in un unico desiderio: il desiderio di verità, di realtà, di Conoscenza, di bellezza, di armonia, di essere... per poi divenire il Desiderio stesso.

mercoledì 21 settembre 2011

Il tabù dell'argomento "morte"



Io sono nato, e ho trascorso gran parte della mia adolescenza e della giovinezza, in un paese del sud Italia.

Ai miei tempi quasi tutte le case del paese erano a piano terra. Così quello che accadeva in una casa era praticamente di dominio pubblico...anche la morte.

La prima volta che ho visto un morto (avevo circa cinque anni) sono rimasto a contemplarlo per ore. Si trattava di un vecchio: il marito della nostra vicina di casa.

Da allora mi è capitato spesso (in verità me l'andavo a cercare) di andare a passare delle ore a contemplare la morte. Ho visto neonati morti, anziani, adolescenti, donne e giovani...

Per carità, non fatevi l'idea di un ossessionato da queste cose. Le mie giornate le passavo all'insegna della vita. Pulsavo di vita fresca e, spesso, passionale.

Avevo molti amici, giocavo nei campi, salivo sugli alberi, mi innamoravo delle ragazzine, conoscevo mille giochi...insomma: non ero certo un bambino chiuso o con attitudini morbose.

Ma quando mi capitava non mi facevo scappare l'occasione di fermarmi a contemplare il più grande mistero di tutti: quello della morte.

Guardare il volto impassibile di un cadavere, finalmente coi tratti del volto distesi (casomai osservando attentamente le palpebre, per accertarmi che non muovesse gli occhi); sentire l'odore dolciastro che riempiva la stanza; cercare di indovinare cosa faceva quell'uomo da vivo; cercare di capire qual'era la differenza tra la vita e la morte: cosa mancava a quel corpo? Perché ora non poteva più muoversi, parlare...vivere?

E poi...osservavo la gente presente.
E mi balzava subito all'occhio la differenza tra chi soffriva realmente per la cara perdita e chi, invece, era lì solo per dovere.

Poi sono cresciuto.

E se da bambino potevo mischiarmi tra la folla dei parenti senza essere notato, da grande non ho potuto più fare questo tipo di esperienze (salvo rari casi di morte di amici e parenti).

Quando poi è arrivata la "svolta", avevo circa ventidue anni (dopo aver letto il Siddharta di Herman Hesse, La vita di Milarepa, la Bhagavad gita, Essenza del Buddhismo Zen di Suzuki, l'I Ching e il Vangelo in un periodo molto delicato della mia vita), una "nuova luce" mi invase, e non riuscivo più ad accettare ciecamente una vita vissuta solo per la gratificazione sensoriale e meccanica.

La vita e la morte assunsero, per me, un significato nuovo, ma ancora più misterioso.

E la "certezza" che un giorno dovevo pur morire e che dovevo perdere i miei cari, man mano che diventava più forte in me, mi faceva crescere la voglia di sapere se vi era una alternativa, se vi era una qualche "parte" immortale dentro me e gli altri.

- Perché nascere e morire nell'inconsapevolezza di chi siamo realmente? - mi chiedevo.

Ma ben presto mi accorsi che questi argomenti non interessavano granché ai miei amici.
Anzi, spesso i miei discorsi li infastidivano.
Soprattutto l'argomento "morte".

Scattava qualcosa in loro, un rifiuto viscerale verso qualunque discussione che contenesse all'interno questa parola: morte.
Loro facevano di tutto per riempire il tempo, ma non farsi domande...soprattutto sulla morte. Non era divertente.

Pian piano ho capito, e l'ho accettato.

Ho capito che quella di ignorare l'esistenza della morte è proprio una caratteristica dei nostri tempi, una caratteristica che va avanti già da un bel pezzo. Da secoli.

Facciamo come gli struzzi. E pensiamo che solo non parlandone, non pensandoci, possiamo evitarla.

Per me, invece, la consapevolezza della certezza della morte (sempre senza morbosità, s'intende) è una porta di accesso ad un "modo più intenso" d vivere.

Non so come dirlo...

Sapere che comunque dobbiamo morire, che non sappiamo dove come e quando accadrà, ci può dare il coraggio per essere più dignitosi, meno meschini, ...più presenti al qui ed ora.

Questa consapevolezza può farci apprezzare mille volte di più ogni istante che viviamo: una carezza che riceviamo, un sorriso di chi ci ama...una telefonata.

Qualunque cosa vissuta con la consapevolezza che la morte è un "evento" naturale - e una fase di passaggio ad altri "stati di coscienza" - può amplificarsi di molto, conferendo una diversa "intensità" alla nostra esistenza.

Ma forse non sto scrivendo per nessuno. Forse non avrete finito di leggere questo post....

....l'argomento "morte" è ancora un tabù molto forte da sradicare!

mercoledì 14 settembre 2011

Occhi

Occhi...

quante cose esprimono gli occhi. Emozioni, stati d'animo, condizioni mentali e stati di salute.

Vi sono occhi che ridono
occhi brillanti
occhi opachi
occhi attenti
occhi che non stanno mai fermi
occhi incantati
occhi distratti
occhi sognanti
occhi tristi
occhi magnetici
occhi profondi...

Guardate il video che segue, Occhi negli occhi, veramente un bel lavoro (realizzato da Francesco Amato) con occhi molto speciali.




venerdì 9 settembre 2011

Corpi


Corpi...

Quante cose può esprimere un corpo, a ben guardarlo: tristezza, gioia, esaltazione, chiusura, disponibilità, apertura, condizionamenti, ammirazione, rabbia, ribrezzo, devianza...follia.

E' incredibile la complessa varietà di corpi (e di personaggi) che si possono vedere in una grande città.

Proprio stasera, passando per il centro, in uno stato particolarmente lucido (sarà stato il caffè al ginseng?) mi sono divertito un sacco a notare l'incredibile diversità esistente tra noi esseri esseri umani:

- Guarda quello, vestito con un cappotto spigato (con questo caldo) che gli arriva fino ai piedi (nudi), sporco e trasandato, con capelli e barba lunghi...sembra uscito da un romanzo di Dostoevskij;

e guarda quell'altro, grasso e pelato - pensavo -, sembra uscito da un film degli anni cinquanta (tipo Ladri di biciclette), con la cintura dei pantaloni (larghi) che gli arriva fin sotto le ascelle;

e quella donna in bici, con la gonna talmente corta che le si vede lo slip, però storce il naso e s'infastidisce se la guardano;

e guarda com'è timida quella ragazzina:
e come sono euforici quei ragazzi;
e quanta gente cammina con la testa china;
e quanti se ne vanno in giro sorridenti (da soli), con "aria" beata, ma senza alcun motivo;
e quanti parlano da soli;
e quanti stanno con la testa tra le nuvole;
e quanti si sentono spaesati;
e quanti si guardano attorno, continuamente sospettosi.

Toh! Guarda quel tipo lì, come cammina da spaccone! Che strana camminata con le gambe aperte e i piedi sulle 10 e 10! Mi sembra una via di mezzo tra Charlot, Jackie Chan e un cow boy. Ma chi si crede di ess......Cazzo!...Ma è la mia immagine riflessa nella vetrina aperta di una boutique!!!


mercoledì 7 settembre 2011

Scene d'Autore: Alcune sequenze di "Himalaya - L'infanzia di un capo"

Questo film, a mio avviso, è un vero capolavoro.

Diretto da Eric Valli (con la colonna sonora di Bruno Coulais) ha vinto l'Oscar nel 2000 come Miglior film straniero.

Girato interamente sull'Himalaya (se non ricordo male è stato girato in Ladakh) e con attori del luogo, è un "viaggio" straordinario all'interno di una cultura molto diversa dalla nostra..

Interamente da vivere e da gustare.




venerdì 2 settembre 2011

La pratica di Yoga Nidra non comporta la perdita della volontà!



In quattordici anni di insegnamento mi sembra di aver notato in qualcuno, quando propongo la pratica di Yoga Nidra, una certa resistenza a lasciarsi andare completamente, quasi si avesse il timore di perdere la propria volontà e il controllo su se stessi.

Niente di tutto questo!

La pratica di Yoga Nidra, al contrario, ci porta più vicini al "centro" di noi stessi.

Attraverso la "rotazione della coscienza sulle varie parti del corpo", il "conteggio dei respiri" e le "visualizzazioni", dolcemente la consapevolezza viene guidata ad interiorizzarsi, ma non a perdere il controllo psicofisico né la volontà.

Anzi.

Occorre occorre proprio controllo e volontà per permanere e perdurare in questa pratica.

Alla fine della pratica (o durante) il risultato è il "ritirarsi dei sensi all'interno" ed un rilassamento profondo. L'unico senso che resta vigile e attento è l'udito (che spesso diventa più acuto).

Attraverso la pratica di Yoga Nidra è possibile sciogliere tensioni anche di vecchia data.

Questo stato può essere paragonato a quando la tartaruga ritira i suoi arti all'interno del carapace, e corrisponde al quinto "membro" dell'Ashtanga Yoga, cioè il Pratyahara: la ritrazione dei sensi.

Quindi la pratica di Yoga Nidra, ben lungi dal condurre ad uno stato di ipnosi e perdita di volontà, è un "mezzo" veloce e rilassante per entrare in una condizione di calma concentrazione.

In questo stato non si è più disturbati dalle distrazioni sensoriali e dai pensieri, diventa quindi più facile accedere a stati di coscienza più lucidi e rarefatti. Stati di coscienza più vicini al proprio Essere proprio perché ci liberano (almeno momentaneamente) dai condizionamenti e dalle identificazioni.

Quindi quel senso di disagio che alcuni provano, quella sensazione di "perdersi", è strettamente proporzionata a quanto siamo identificati con la nostra personalità di superficie. Più siamo identificati più avremo paura di "mollare gli ormeggi".

E' anche vero che a volte succede di addormentarsi, durante la pratica di Yoga Nidra, ma questo è dovuto casomai alla stanchezza e non comporta nessuna controindicazione. La mia esperienza decennale mi ha fatto sperimentare che non succede nulla di male nell'addormentarsi.

Al massimo si gode di un riposo molto rigenerante.

Se invece si resta svegli lo stato che si raggiunge è simile a quello del dormiveglia. Ed è una sensazione stupenda sentire il proprio corpo e la mente messi completamente a riposo, e nonostante tutto sentire di esistere.

Da questo stato, poi, è possibile interiorizzarsi ancor di più oppure "riprogrammare" alcune caratteristiche indesiderate del proprio carattere e della propria personalità. Tutto in autonomia e sotto la direzione della propria volontà.