Un film molto
particolare, I colori della Passione, tanto particolare che per circa un quarto
d’ora dall’inizio non viene pronunciata una sola parola: parlano le immagini.
E che immagini!
E quanto parlano.
Basato sul capolavoro
d’Arte Fiamminga “La salita al Calvario”, di Pieter Bruegel il Vecchio, il film è
un vero e proprio quadro vivente, dove i numerosi personaggi dipinti
dall’artista si animano come d’incanto.
L’occhio dello
spettatore viene sin da subito illuminato da atmosfere d’altri tempi e il suo
orecchio pervaso da altri suoni, altri ritmi.
Le Fiandre del XVI
secolo, luoghi lontani nello spazio e nel tempo, vengono magistralmente fatti
rivivere (dal regista Lech Majewsky) e le vicende tragiche di quel cupo periodo
mostrate con la leggerezza di una pennellata attenta al più minuto particolare,
alla più leggera sfumatura cromatica.
E nulla sfugge in
questo quadro vivente: abiti, pose, volti, arredi, animali, paesaggi,
situazioni umane e sociali…addirittura anche le emozioni e gli istinti
animaleschi, che vengono mostrati con immediatezza e poco rumore, eppure sempre
chiaramente visibili nelle differenze dei chiaroscuri e nell’enfasi data al
tocco pittorico.
Il risultato è
un’atmosfera a volte sfumata, altre volte cupa, altre volte ancora colorata e
candida, dove ogni personaggio e ogni evento trova il suo giusto posto nel
dolore di una terra umiliata e martoriata dagli spagnoli e dalla sacra
inquisizione.
La bellezza generale del
film, con situazioni e musiche con dei chiari rimandi allo stile felliniano, è tale che anche la Passione
del Cristo, tema centrale dell’opera - vissuta nella totale indifferenza di
uomini, donne e bambini che hanno altro a cui pensare -, passa quasi in secondo
piano, perché tutto viene visto come da un altro “livello d’osservazione”.
La sensazione,
all’uscita della sala, è quella di essere pervasi da un senso di bellezza e di
eleganza - cosa alquanto strana dato che si narra di vicende drammatiche – ma lascia
anche un po’ di amaro in bocca.
Un vero capolavoro,
insomma, e un’ennesima testimonianza che col cinema si può fare arte.
Finito qui?
No!
Il film - come anche il
dipinto - è un perfetto spaccato del ‘500, e riesce a mettere in mostra le
varie tipologie umane di quel periodo, le loro debolezze, le loro stranezze…le
loro mancanze.
Da questo punto di
vista è un film impietoso, e mostra un mondo dove nessuno è “normale” e nessuno
è veramente conscio di ciò che sta avvenendo.
C’è chi è troppo preso dai
suoi interessi personali, chi invece è troppo preso dal lavoro, o dalla
religione, dal potere politico, dal sesso, dal gioco, oppure, come i bambini,
semplicemente inconsapevole e distratto.
Neppure lo stesso pittore, Bruegel (Rutger Hauer), può essere definito un uomo normale, appare infatti
freddo e distaccato, solo interessato a ”mettere in scena” il suo dipinto .
E neanche il “grande
architetto” (che vive nel mulino a vento sullo sperone roccioso che rappresenta
l’axis mundi) può essere definito
“normale”. Lui, però, è fuori dal
gioco, lui semplicemente fa girare la ruota del divenire.
L’unica che sembra
conscia, normale e composta è la madre del Cristo (Charlotte Rampling), ma è
comunque una donna debole e impotente di fronte allo strapotere della chiesa e
dei mercenari spagnoli.
I colori della passione
è quindi un film che “spiega”, interpreta, ciò che vuole raccontare un dipinto
che ci mostra cosa stava avvenendo in quei tempi bui e tempestosi, non solo
nelle Fiandre, ma in tutto il resto d’Europa.
Ho visto il film e hai centrato in pieno tutti gli aspetti. La descrizione è davvero completa e solo una persona con sensibilità artistica come te poteva cogliere tutte le sfumature di un simile capolavoro.Bravo davvero.
RispondiEliminaGrazie, troppo buona.
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