domenica 1 aprile 2012

I colori della Passione




Un film molto particolare, I colori della Passione, tanto particolare che per circa un quarto d’ora dall’inizio non viene pronunciata una sola parola: parlano le immagini.

E che immagini!

E quanto parlano.

Basato sul capolavoro d’Arte Fiamminga “La salita al Calvario”, di Pieter Bruegel il Vecchio, il film è un vero e proprio quadro vivente, dove i numerosi personaggi dipinti dall’artista si animano come d’incanto.

L’occhio dello spettatore viene sin da subito illuminato da atmosfere d’altri tempi e il suo orecchio pervaso da altri suoni, altri ritmi.

Le Fiandre del XVI secolo, luoghi lontani nello spazio e nel tempo, vengono magistralmente fatti rivivere (dal regista Lech Majewsky) e le vicende tragiche di quel cupo periodo mostrate con la leggerezza di una pennellata attenta al più minuto particolare, alla più leggera sfumatura cromatica.

E nulla sfugge in questo quadro vivente: abiti, pose, volti, arredi, animali, paesaggi, situazioni umane e sociali…addirittura anche le emozioni e gli istinti animaleschi, che vengono mostrati con immediatezza e poco rumore, eppure sempre chiaramente visibili nelle differenze dei chiaroscuri e nell’enfasi data al tocco pittorico.

Il risultato è un’atmosfera a volte sfumata, altre volte cupa, altre volte ancora colorata e candida, dove ogni personaggio e ogni evento trova il suo giusto posto nel dolore di una terra umiliata e martoriata dagli spagnoli e dalla sacra inquisizione.

La bellezza generale del film, con situazioni e musiche con dei chiari rimandi allo stile felliniano, è tale che anche la Passione del Cristo, tema centrale dell’opera - vissuta nella totale indifferenza di uomini, donne e bambini che hanno altro a cui pensare -, passa quasi in secondo piano, perché tutto viene visto come da un altro “livello d’osservazione”.

La sensazione, all’uscita della sala, è quella di essere pervasi da un senso di bellezza e di eleganza - cosa alquanto strana dato che si narra di vicende drammatiche – ma lascia anche un po’ di amaro in bocca.

Un vero capolavoro, insomma, e un’ennesima testimonianza che col cinema si può fare arte.

Finito qui?
No!

Il film - come anche il dipinto - è un perfetto spaccato del ‘500, e riesce a mettere in mostra le varie tipologie umane di quel periodo, le loro debolezze, le loro stranezze…le loro mancanze.

Da questo punto di vista è un film impietoso, e mostra un mondo dove nessuno è “normale” e nessuno è veramente conscio di ciò che sta avvenendo.

C’è chi è troppo preso dai suoi interessi personali, chi invece è troppo preso dal lavoro, o dalla religione, dal potere politico, dal sesso, dal gioco, oppure, come i bambini, semplicemente inconsapevole e distratto.

Neppure lo stesso pittore, Bruegel (Rutger Hauer), può essere definito un uomo normale, appare infatti freddo e distaccato, solo interessato a ”mettere in scena” il suo dipinto .

E neanche il “grande architetto” (che vive nel mulino a vento sullo sperone roccioso che rappresenta l’axis mundi) può essere definito “normale”. Lui, però, è fuori dal gioco, lui semplicemente fa girare la ruota del divenire.

L’unica che sembra conscia, normale e composta è la madre del Cristo (Charlotte Rampling), ma è comunque una donna debole e impotente di fronte allo strapotere della chiesa e dei mercenari spagnoli.

I colori della passione è quindi un film che “spiega”, interpreta, ciò che vuole raccontare un dipinto che ci mostra cosa stava avvenendo in quei tempi bui e tempestosi, non solo nelle Fiandre, ma in tutto il resto d’Europa.







2 commenti:

  1. Ho visto il film e hai centrato in pieno tutti gli aspetti. La descrizione è davvero completa e solo una persona con sensibilità artistica come te poteva cogliere tutte le sfumature di un simile capolavoro.Bravo davvero.

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